4 novembre 2010

Il Governo guarda alle imprese per migliorare la sicurezza sul lavoro

Per rafforzare le condizioni di sicurezza nei luoghi di lavoro un nodo cruciale su cui intervenire sono le imprese. È per questo il Testo Unico voluto dal Governo punta su un sistema di qualificazione delle imprese e dei lavoratori autonomi che poggi sulla verifica di elementi sostanziali, come l’organizzazione del lavoro, l’applicazione distandard contrattuali, la formazione, superando quell’approccio documentale e cartaceo del passato. Una verifica che coinvolge tutti i livelli, in modo da non lasciare scoperte le attività svolte in appalto e subappalto, per innalzare lo stato delle tutele lungo tutta la filiera.
Significativo, in tal senso, lo strumento della patente a punti per l’edilizia, che consente con un approccio molto pragmatico per valutare l’impresa in termini di affidabilità relativamente alla salute e sicurezza per i lavoratori. Uno strumento che permetterà di mandare fuori mercato le aziende non in grado di garantire il rispetto dei livelli di tutela dei lavoratori che la legge impone e che vale come modello per la sua flessibilità, tanto che il legislatore ne ha prevista la possibile estensione ad altri settori di attività.
Allo scopo di elaborare i capisaldi su cui fondare questo sistema di qualificazione, che vedrà la luce in un decreto del presidente della Repubblica, è stato istituito nell’ambito della Commissione consultiva permanente per la salute e la sicurezza nei luoghi di lavoro – organismo nel quale si trovano rappresentate paritariamente le Amministrazioni pubbliche centrali, le Regioni e le parti sociali – è stato istituito un gruppo ad hoc di lavoro, nel quale si sta discutendo delle regole e delle procedure relative alla qualificazione delle imprese.
Regole e procedure che riguarderanno, in particolare, il funzionamento della c.d. “patente a punti” per gli edili, e la disciplina delle attività, prevalentemente manutenzioni con assegnazione in appalto, che siano destinate a svolgersi nei c.d. “ambienti confinati”.
Altri gruppi “tecnici”, sempre costituiti internamente alla Commissione consultiva, si stanno occupando di temi rilevanti e di grande attualità, quali, per tutti, la valutazione dello stress lavoro-correlato, per il quale si sta procedendo – come prevede la legge (articolo 28, comma 1-bis, del testo unico) – alla elaborazione di indicazioni metodologiche che conducano le imprese ad una completa e corretta valutazione di tale rischio.
Ma sono molteplici i fronti, anche non trattati nell’ambito della Commissione consultiva e dei suoi comitati, su cui è impegnato il Ministero del Lavoro per migliorare le condizioni di lavoro in tutte le imprese pubbliche e private. Tra tutti, l’avvio del Sinp, il Sistema informativo nazionale della prevenzione, e le diverse campagne di sensibilizzazione e comunicazione, per diffondere sempre più una cultura della prevenzione e della sicurezza.
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3 novembre 2010

Aziende, da novembre si intensificano le ispezioni e i controlli per la sicurezza

ROMA – Aziende italiane fate attenzione: i controlli sui livelli di sicurezza e la tutela della salute dei lavoratori, dal mese di novembre, si fanno più intensi. Il Ministro Maurizio Sacconi è infatti intervenuto alla “Terza Conferenza nazionale sulla vigilanza in materia di lavoro” organizzata dalla Direzione generale per l’attività ispettiva, che si è tenuta a Roma il 28 ottobre. Negli ultimi mesi, in seguito alla sinergia di tutti i soggetti coinvolti, l’attività ispettiva ha fatto grandi passi verso una profonda trasformazione. E’ del 4 agosto scorso la firma del Protocollo d’Intesa con Inps, Inail e l’Agenzia delle Entrate che sancisce l’avvio di una nuova collaborazione con i soggetti che si occupano di vigilanza e controllo al fine di promuovere e migliorare l’attività ispettiva con nuove metodologie operative. Nello specifico, la sigla del protocollo ha permesso di decretare lo scambio di informazioni e dati tra Ministero, Inps, Inail e Agenzia delle Entrate con la finalità di innalzare la capacità di vigilare sull’attuazione delle norme di lavoro e di rendere più efficaci e mirate le operazioni di lotta fiscale e di contrasto al lavoro sommerso.
A partire da questo l’attività ispettiva tenderà sempre più ad essere un’attività investigativa che si opera prima e a monte della vera e propria ispezione.
Altro importante accordo stilato recentemente è la Convenzione tra Ministero del lavoro e Ministero della Difesa a seguito di cui si stabilisce un rapporto di collaborazione tra le Direzioni Provinciali del Lavoro e l’Arma dei Carabinieri finalizzata a contrastare con efficacia i fenomeni criminali connessi allo sfruttamento del lavoro, all’occupazione illegale di lavoratori e al mancato rispetto delle condizioni di sicurezza nei luoghi di lavoro. Oltre a programmare ecordinare le operazioni gli organismi sono anche chiamati a denunciare con sollecitudine le situazioni di evidente pericolosità e rischio cui sono esposti i lavoratori pere quanto riguarda la loro salute e sicurezza.

Entrambi gli accordi mirano a rendere sempre più capillare e organizzata l’attività ispettiva, facendo capo da una parte al radicamento territoriale delle Forze dell’Ordine e dall’altra alle banche dati degli enti preposti attraverso cui monitorare e pianificare azioni ispettive mirate.
Alla Conferenza è stata inoltre presentata la campagna di comunicazione “Sicurezza sul lavoro. La pretende chi si vuole bene”, che sta suscitando pareri contrastanti nel mondo del lavoro. La conferenza è stata inoltre occasione per celebrare l’evento conclusivo delle attività di formazione del Progetto “Adeguamento delle potenzialità ispettive alle esigenze connesse con l’implementazione della legislazione comunitaria in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro”.

Tratto da: quotidianosicurezza.it
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2 novembre 2010

RISCHIO VIBRAZIONI: attrezzature, le macchine e le lavorazioni potenzialmente lesive per i lavoratori

Le attrezzature, le macchine e le lavorazioni potenzialmente lesive per i lavoratori

Nel campo lavorativo l'esposizione a vibrazioni meccaniche può avere luogo nell'ambito di una varietà notevolissima di processi, attività e processi che hanno luogo nell'industria manifatturiera, nel comparto delle costruzioni e nel settore estrattivo, nel settore agricolo-forestale, nei servizi, ecc.


Attrezzature / macchine o attività a rischio vibrazioni meccaniche classiche

Spesso il pensiero comune porta ad associare il rischio da vibrazioni meccaniche a particolari, specifiche e "classiche" figure professionali quali, ad esempio, gli operai delle Imprese edili o di lavori stradali utilizzanti martelli pneumatici o a percussione, oppure gli operai delle Aziende incaricate della manutenzione del verde utilizzanti motoseghe, decespugliatori o tosaerba.

* martelli pneumatici;
* elettrodemolitori;
* trapani pneumatici, trapani elettrici, trapani a percussione;
* vagliatori;
* motoseghe;
* decespugliatori;
* tosaerba;
* tagliasiepe;
* soffiatori;
* smerigliatrici;
* levigatrici;
* piallatrici;
* lucidatrici;
* avvitatori pneumatici ed elettrici;
* vibratori pneumatici calcestruzzo;
* lavasciuga pavimenti;
* bocciardatrici;
* motofalciatrici;
* seghe rotanti manuali;
* tracciatrici;
* ecc.

Attrezzature / macchine o attività a rischio vibrazioni meccaniche classiche “insospettabili” (o comunque finora trascurate)

In realtà, sono molteplici le categorie professionali, finora "insospettabili" (soprattutto quelle riguardanti il corpo intero) da parte dei non addetti ai lavori, soggette ai rischi da vibrazioni che dovranno giocoforza rientrare tra quelle assoggettate agli obblighi di cui alla norma oggetto del presente approfondimento. Si indicano alcuni esempi, non esaustivi ma utili per definire lo scenario:

* locomotori e carrozze ferroviarie;
* elicotteri;
* aerei;
* pale gommate e apripista;dumper;
* escavatori;
* trattori e mezzi agricoli;
* ecc.
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Le VIBRAZIONI: cosa sono, perché si producono e perché possono nuocere alla salute

Cosa sono, perché si producono e perché possono nuocere alla salute

Le vibrazioni meccaniche sono movimenti oscillatori caratterizzati da una frequenza relativamente elevata e da una ampiezza relativamente piccola: in pratica, sono i piccoli spostamenti periodici di un elemento attorno al proprio punto di riferimento.

Esse vengono prodotte durante il funzionamento di una macchina o di una attrezzatura (moti alternati e scoppi di motori endotermici; moti alternati di motori elettrici; ingranaggi e manovellismi in moto; alberi, giunti e coppie coniche in rotazione; ecc. che possono essere ulteriormente amplificati da usura, incuria ed assenza/insufficienza di manutenzione da parte dell'Azienda o Ente) ed indotti su tutta o su parte della carcassa che, entrando in contatto con il corpo del lavoratore, vengono a diffondersi anche su questi.

Come gran parte dei rischi lavorativi che non producono una menomazione immediata, quali i tagli, gli schiacciamenti, le cadute dall'alto, ecc., le vibrazioni meccaniche vengono puntualmente sottovalutate o considerate "inevitabili" non solo dalle Imprese, ma dagli stessi lavoratori: tuttavia, l'esposizione prolungata alle vibrazioni meccaniche manifesta ugualmente i suoi nefasti effetti sulla salute degli operatori, semplicemente dilazionandoli in tempi lunghi e con differenti intensità da soggetto a soggetto.

Dai dati del 3rd European Survey on Working Conditions di Dublino del 2000 emerge come in Europa ben il 24% dei lavoratori sarebbe esposto a vibrazioni meccaniche, mentre in Italia il dato salirebbe addirittura al 26%.
vibrazioni trasmesse al sistema mano-braccio;
vibrazioni trasmesse al corpo intero.

Le prime sono quelle prodotte da utensili portatili, manufatti impugnati e lavorati su macchinario fisso o similari, mentre le seconde sono quelle prodotte da macchinari vibranti, veicoli, mezzi operativi o altro:

Elenco non esaustivo delle patologie potenzialmente correlate al lavoro esposto a vibrazioni meccaniche

Patologie da vibrazioni trasmesse al sistema mano braccio (HTV)

Sindrome da vibrazioni mano-braccio, caratterizzato da:

* Fenomeno di Raynaud
* Neuropatia periferica diffusa sensitiva
* Lesioni cronico-degenerative dei segmenti ossei e articolari (artrosi, osteofitosi di polsi e gomiti
* Tendinite
* Peritendiniti
* Tenosinoviti
* Parestesie (formicolii)
* Riduzione della sensibilità termica e tattile
* Limitazione della capacità di manipolazione fine
* Malattia di De-QuervainSindrome del tunnel carpale
* Sindrome del dito bianco
* Sindrome del canale di Guyon
* Angiopatia da vibranti

Patologie da vibrazioni trasmesse al corpo intero

Disturbi e lesioni a carico del rachide lombare:

* Lombalgie e lombosciatalgie
* Alterzioni degenerative della colonna vertebrale (spondiloartrosi, spondilosi, osteocondrosi intervertebrale)
* Discopatie ed ernie discali lombari e/o lombosacrali
* Alterazioni a carico del distretto cervino-brachiale
* Alterazioni del sistema venoso periferico
* Alterazioni dell'apparato gastroenterico
* Alterazioni dell'apparato riproduttivo femminile
* Alterazioni del sistema cocleo-vestibolare
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Le Vibrazioni e il Documento di Valutazione dei Rischi

Le Vibrazioni e il Documento di Valutazione dei Rischi

I nuovi obblighi per le aziende e gli enti introdotti dalla nuova normativa

La Direttiva Europea 2002/44/CE del 25 giugno 2002, recepita nel sistema giuridico del nostro Paese con il D.Lgs. 187/05 ed ora con il D.Lgs. 81/08, è una norma legislativa di natura prevenzionale, ovvero volta ad evitare o, almeno, a ridurre l'esposizione all'agente lesivo dei lavoratori, poiché fissa due soglie che fanno scattare differenti azioni obbligatorie:

* è una inferiore, corrispondente al "valore d'azione", che, se superata, implica l'avvio di alcuni provvedimenti di base (interventi tecnici, adeguata organizzazione del lavoro, formazione, informazione, sorveglianza sanitaria, ecc.) che fissano i requisiti minimi per la sicurezza e la salute dei lavoratori che dovrebbero evitare l'insorgere di effetti sulla salute o malattie professionali.

* è una superiore, corrispondente al "valore limite", che, se superata, implica l'immediata adozione di provvedimenti atti a riportare l'esposizione al di sotto della stessa e l'avvio di operazioni atte a individuare le cause del superamento e a adottare le conseguenti misure di prevenzione e protezione che evitino il ripetersi del superamento.


Al fine di non incappare nel reato di "omessa valutazione dei rischi" le Aziende e gli Enti devono pertanto, d'ora in avanti, indagare con estremo rigore in merito a tutte le situazioni in cui i propri lavoratori possano essere soggetti ai rischi da vibrazioni meccaniche, anche quelle finora ignorate o comunque trascurate in quanto reputate semplicisticamente ininfluenti sulla salute dei lavoratori.

Di tale valutazione occorre elaborare un documento scritto che contenga i seguenti elementi:

Decreto legislativo 9 aprile 2008 , N. 81

"Attuazione dell'articolo 1 della legge 3 agosto 2007, N. 123 in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro"

Art. 202 - Valutazione dei rischi

Nell'ambito di quanto previsto dall'articolo 181, il datore di lavoro valuta e, quando necessario, misura, i livelli di vibrazioni meccaniche cui i lavoratori sono esposti.

Il livello di esposizione alle vibrazioni meccaniche può essere valutato mediante l'osservazione delle condizioni di lavoro specifiche e il riferimento ad appropriate informazioni sulla probabile entità delle vibrazioni per le attrezzature o i tipi di attrezzature nelle particolari condizioni di uso reperibili presso banche dati dell'ISPESL o delle regioni o, in loro assenza, dalle informazioni fornite in materia dal costruttore delle attrezzature. Questa operazione va distinta dalla misurazione, che richiede l'impiego di attrezzature specifiche e di una metodologia appropriata e che resta comunque il metodo di riferimento.
L'esposizione dei lavoratori alle vibrazioni trasmesse al sistema mano-braccio è valutata o misurata in base alle disposizioni di cui all'allegato XXXV, parte A.
L'esposizione dei lavoratori alle vibrazioni trasmesse al corpo intero è valutata o misurata in base alle disposizioni di cui all'allegato XXXV, parte B.

Ai fini della valutazione di cui al comma 1, il datore di lavoro tiene conto, in particolare, dei seguenti elementi:

* il livello, il tipo e la durata dell'esposizione, ivi inclusa ogni esposizione a vibrazioni intermittenti o a urti ripetuti;
* i valori limite di esposizione e i valori d'azione specificati nell'articolo 201;

gli eentuali effetti sulla salute e sulla sicurezza dei lavoratori particolarmente sensibili al rischio con particolare riferimento alle donne in gravidanza e ai minori;

gli eventuali effetti indiretti sulla sicurezza e salute dei lavoratori risultanti da interazioni tra le vibrazioni meccaniche, il rumore e l'ambiente di lavoro o altre attrezzature;

le informazioni fornite dal costruttore dell'attrezzatura di lavoro;
l'esistenza di attrezzature alternative progettate per ridurre i livelli di esposizione alle vibrazioni meccaniche;
il prolungamento del periodo di esposizione a vibrazioni trasmesse al corpo intero al di là delle ore lavorative, in locali di cui è responsabile;
condizioni di lavoro particolari, come le basse temperature, il bagnato, l'elevata umidità o il sovraccarico biomeccanico degli arti superiori e del rachide;
informazioni raccolte dalla sorveglianza sanitaria, comprese, per quanto possibile, quelle reperibili nella letteratura scientifica.

Per valutare i livelli di esposizione dei lavoratori alle vibrazioni meccaniche le aziende e gli enti devono avviare campagne di misurazione strumentale?
La domanda che più di un Datore di lavoro o Dirigente si starà ora ponendo è più o meno la seguente: "... ma allora, il D.Lgs. 81/08 mi obbliga ad avviare costose, lunghe e complesse campagne di misurazione strumentale dei livelli di vibrazioni meccaniche cui i miei lavoratori sono esposti? ".

L'articolo 202 dello stesso D.Lgs. 81/08 risponde in maniera esauriente al quesito.

Quindi, la norma prevede l'individuazione dei livelli di vibrazione a partire dai dati in letteratura (Banche Dati dell' ISPESL, delle Regioni e del CNR; informazioni fornite direttamente dai Costruttori e/o dai Fornitori di macchine ed attrezzature; informazioni desunte dai libretti d'uso delle macchine e attrezzature): nel caso in cui non fossero reperibili dati certi di letteratura, il Datore di lavoro deve provvedere ad avviare misurazioni strumentali delle vibrazioni meccaniche prodotte mediante attrezzature specifiche, personale adeguatamente qualificato nell'ambito del Servizio di Prevenzione e Protezione aziendale e secondo metodologie appropriate.

Una volta in possesso dei dati inerenti l'entità delle vibrazioni meccaniche prodotte da attrezzature e macchine, questi debbono essere utilizzati per calcolare il livello di esposizione personale dei lavoratori, tenendo conto di ulteriori parametri quali il tempo di esposizione, le condizioni d'uso, le condizioni al contorno e microclimatiche, ecc., utilizzando la metodologia ed il modello matematico nonché quanto altro indicato nell'Allegato XXXV del D.Lgs. 81/08.

Anche quest'ultimo passaggio, che rappresenta la vera e propria valutazione dei rischi, deve essere effettuato da personale adeguatamente qualificato nell'ambito del Servizio di Prevenzione e Protezione aziendale e secondo metodologie appropriate, e viene ultimato con la stesura dello specifico "Documento di valutazione dei rischi".

Deroghe per gli adempimenti e gli adeguamenti di legge

Per quanto riguarda le deroghe, queste sono previste nei casi:

* nei settori della navigazione marittima ed aerea, allorquando il Datore di lavoro dimostri che non sia tecnicamente possibile rispettare il valore limite di esposizione per il corpo intero nonostante le misure di prevenzione e protezione messe in atto;
* nel caso di attività lavorative in cui l'esposizione alle vibrazioni meccaniche di un lavoratore è abitualmente inferiore ai valori di azione ma varia continuamente e può occasionalmente superare il valore limite di esposizione, purché il valore medio dell'esposizione calcolata su un periodo di 40 ore sia inferiore al valore limite di esposizione e si dimostri che i rischi corsi sono inferiori a quelli derivanti ad un livello di esposizione corrispondente al valore limite

Decreto legislativo 9 aprile 2008 , N. 81

"Attuazione dell'articolo 1 della legge 3 agosto 2007, N. 123 in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro"

Art. 205 - Deroghe

Nei settori della navigazione marittima e aerea, il datore di lavoro, in circostanze debitamente giustificate, può richiedere la deroga, limitatamente al rispetto dei valori limite di esposizione per il corpo intero qualora, tenuto conto della tecnica e delle caratteristiche specifiche dei luoghi di lavoro, non sia possibile rispettare tale valore limite nonostante le misure tecniche e organizzative messe in atto.

Nel caso di attività lavorative in cui l'esposizione di un lavoratore a vibrazioni meccaniche è abitualmente inferiore ai valori di azione, ma può occasionalmente superare il valore limite di esposizione, il datore di lavoro può richiedere la deroga al rispetto dei valori limite a condizione che il valore medio dell'esposizione calcolata su un periodo di 40 ore sia inferiore al valore limite di esposizione e dimostri, con elementi probanti, che i rischi derivanti dal tipo di esposizione cui è sottoposto il lavoratore sono inferiori a quelli derivanti dal livello di esposizione corrispondente al valore limite.

Le deroghe di cui ai commi 1 e 2 sono concesse, per un periodo massimo di quattro anni, dall'organo di vigilanza territorialmente competente che provvede anche a darne comunicazione, specificando le ragioni e le circostanze che hanno consentito la concessione delle stesse, al Ministero del lavoro e della previdenza sociale. Le deroghe sono rinnovabili e possono essere revocate quando vengono meno le circostanze che le hanno giustificate.

La concessione delle deroghe di cui ai commi 1 e 2 è condizionata all'intensificazione della sorveglianza sanitaria e da condizioni che garantiscano, tenuto conto delle particolari circostanze, che i rischi derivanti siano ridotti al minimo. Il datore di lavoro assicura l'intensificazione della sorveglianza sanitaria ed il rispetto delle condizioni indicate nelle deroghe.

Il Ministero del lavoro e della previdenza sociale trasmette ogni quattro anni alla Commissione della Unione europea un prospetto dal quale emergano circostanze e motivi delle deroghe concesse ai sensi del presente articolo.
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Il Documento di Valutazione dei Rischi da Rumore

Il Documento di Valutazione dei Rischi da Rumore

La valutazione del rumore va eseguita su tutte le imprese che potenzialmente possono avere lavoratori esposti e deve essere aggiornata ad opportuni intervalli di tempo(mediamente ogni quattro anni) o ogni qualvolta si verifica una modifica nelle lavorazioni, che influisce in modo sostanziale sul rumore emesso.

La valutazione deve essere effettuata da tecnici attraverso la consultazione del RSPP, dei lavoratori e sotto la responsabilità del datore di lavoro. Gli esiti della stessa, nonché i criteri e le modalità di effettuazione, vanno indicati in un rapporto che deve essere tenuto a disposizione dell'organo di vigilanza.

Strumentazione di misura

Le misurazioni per la valutazione dell'esposizione a rumore possono essere effettuate sia mediante fonometri convenzionali sia mediante fonometri integratori che forniscono al termine del rilievo il livello energetico medio presente nella posizione in esame.

Valutazione tecnica dei rischi da esposizione a rumore

La norma assume come parametri di riferimento dei valori d'azione superiori e inferiori (ovvero livelli di esposizione il cui superamento implica da parte delle Aziende l'attuazione di specifiche misure di prevenzione e protezione a tutela dei lavoratori esposti) e dei valori limite (ovvero livelli di esposizione il cui superamento è grave; vietato):
valori limite di esposizione (tiene conto dell'attenuazione prodotta dai dispositivi di protezione individuale): rispettivamente LEX,8h= 87 dB(A) e ppeak= 200 Pa [140 dB(C) riferito a 20 micro Pa];

* valori superiori di azione: rispettivamente LEX,8h= 85 dB(A) e ppeak= 140 Pa [137 dB(C) riferito a 20 micro Pa];

* valori inferiori di azione: rispettivamente LEX,8h= 80 dB(A) e ppeak= 112 Pa [135 dB(C) riferito a 20 micro Pa].

Laddove a causa delle caratteristiche intrinseche della attività grave; lavorativa l'esposizione giornaliera al rumore varia significativamente, da una giornata di lavoro all'altra, è grave; possibile sostituire, ai fini dell'applicazione dei valori limite di esposizione e dei valori di azione, il livello di esposizione giornaliera al rumore con il livello di esposizione settimanale a condizione che:
il livello di esposizione settimanale al rumore, come dimostrato da un controllo idoneo, non ecceda il valore limite di esposizione di 87 dB(A);
siano adottate le adeguate misure per ridurre al minimo i rischi associati a tali attività.

La norma prevede la possibilità da parte di Aziende ed Enti di richiedere deroghe all'uso dei DPI ed al rispetto del valore limite di esposizione, ma secondo precise e rigide modalità autorizzative:

D.Lgs. Governo n° 81 del 09/04/2008

Attuazione dell'articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro.

Omissis

Art. 197. - Deroghe

* Il datore di lavoro può richiedere deroghe all'uso dei dispositivi di protezione individuale e al rispetto del valore limite di esposizione, quando, per la natura del lavoro, l'utilizzazione di tali dispositivi potrebbe comportare rischi per la salute e sicurezza dei lavoratori maggiori rispetto a quanto accadrebbe senza la loro utilizzazione.

* Le deroghe di cui al comma 1 sono concesse, sentite le parti sociali, per un periodo massimo di quattro anni dall'organo di vigilanza territorialmente competente che provvede anche a darne comunicazione, specificando le ragioni e le circostanze che hanno consentito la concessione delle stesse, al Ministero del lavoro e della previdenza sociale. Le circostanze che giustificano le deroghe di cui al comma 1 sono riesaminate ogni quattro anni e, in caso di venire meno dei relativi presupposti, riprende immediata applicazione la disciplina regolare.

* La concessione delle deroghe di cui al comma 2 condizionata dall'intensificazione della sorveglianza sanitaria e da condizioni che garantiscano, tenuto conto delle particolari circostanze, che i rischi derivanti siano ridotti al minimo. Il datore di lavoro assicura l'intensificazione della sorveglianza sanitaria ed il rispetto delle condizioni indicate nelle deroghe.

* Il Ministero del lavoro e della previdenza sociale trasmette ogni quattro anni alla Commissione della Unione europea un prospetto globale e motivato delle deroghe concesse ai sensi del presente articolo.

Le misure di prevenzione e protezione da adottare sono le seguenti:

Fascia di rischio: A

Provvedimenti da addottare: Nessun ulteriore obbligo a carico del Datore di lavoro. Per le situazioni dove il Lex, 8h risulta minore del valore inferiore di azione ma sono presenti alcune singole lavorazioni aventi valori di pressione sonora superiori agli 80 dB si consiglia comunque di fornire i DPI dell'udito ai lavoratori.

Note:Non superato il valore inferiore di azione:
LEX,8h= 80 dB(A)
ppeak= 112 Pa
[135 dB(C) riferito a 20 micro Pa]

Fascia di rischio: B

Provvedimenti da addottare: Il Datore di lavoro deve mettere a disposizione dei lavoratori DPI dell'udito (la scelta deve coinvolgere i lavoratori o i loro rappresentanti) e deve sottoporre a Sorveglianza Sanitaria a cura del Medico Competente i lavoratori se questi ne facciano espressa richiesta o se il Medico Competente ne affermi l'opportunità.

Note:

Superato il valore inferiore di azione:
LEX,8h= 80 dB(A)
ppeak= 112 Pa
[135 dB(C) riferito a 20 micro Pa]

Fascia di rischio: C

Provvedimenti da addottare: Il Datore di lavoro deve obbligare i lavoratori ad indossare i DPI dell'udito (la scelta deve coinvolgere i lavoratori e/o i loro rappresentanti) e deve sottoporre a Sorveglianza Sanitaria a cura del Medico Competente i lavoratori esposti.

Note

Superato il valore superiore di azione:
LEX,8h= 85 dB(A)
ppeak= 140 Pa
[137 dB(C) riferito a 20 micro Pa]

Fascia di rischio: D

Provvedimenti da addottare: Cessione immediata dell'esposizione ed individuazione delle misure di Prevenzione e Protezione, finalizzate a riportare l'esposizione al di sotto del valore limite di esposizione ed evitare eventuali nuovi superamenti

Note

Superato il valore limite:
LEX,8h= 87 dB(A) a DPI indossati
ppeak= 200 Pa a DPI indossati
[140 dB(C) riferito a 20 micro Pa]

D.Lgs. Governo n° 81 del 09/04/2008

Attuazione dell'articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro.

Omissis

Art. 195. - Informazione e formazione dei lavoratori

* Fermo restando quanto previsto dall'articolo 184 nell'ambito degli obblighi di cui agli articoli 36 e 37, il datore di lavoro garantisce che i lavoratori esposti a valori uguali o superiori ai valori inferiori di azione vengano informati e formati in relazione ai rischi provenienti dall'esposizione al rumore.

Omissis
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Quali sono le modalità da seguire nel caso in cui i lavoratori non abbiano eletto il RLS interno?

Come possono le aziende avvalersi di un RLS Territoriale?

Quesito

Per aziende con meno di 15 lavoratori, il RLS può essere eletto internamente dai lavoratori oppure, nel caso in cui questi rinuncino, ci si può avvalere di un RLS Territoriale. Capita spesso di trovare aziende che vogliono effettivamente avvalersi proprio di un RLST. Purtroppo però in pochissime regioni esiste questa figura. Come ci si regola in tal caso? Il ruolo rimane vacante fino a individuazione del RLST da parte degli enti competenti oppure c’è un’altra modalità da seguire?

Risposta

L’elezione o la designazione del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza (RLS), prevista dall’art. 47 del D. Lgs. 9/4/2008 n. 81 in tutte le aziende o unità produttive, è un diritto-dovere dei lavoratori e non certo un obbligo da parte dei datori di lavoro, che tra l’altro di obblighi ne ha ben tanti in materia di salute e sicurezza dei lavoratori. Il datore di lavoro non può far altro che prendere atto delle decisioni che i suoi lavoratori hanno assunto di farsi rappresentare da un lavoratore interno all’azienda per poi comportarsi di conseguenza. Quello che, invece, può fare ed anzi, aggiungerei, che deve fare il datore di lavoro è invitare i propri lavoratori ad esprimersi in merito a tale diritto-dovere e che in ogni caso gli comunichino le loro volontà e cioè se hanno eletto o designato il loro rappresentante.

Nel caso in cui i lavoratori non hanno inteso eleggere o designare un loro rappresentante all’interno dell’azienda il D. Lgs. n. 81/2008, al comma 8 dello stesso art. 47, prevede che le funzioni del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza siano esercitate dai rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza territoriali o di sito produttivo, salvo diverse intese tra le associazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. Nel caso di mancata elezione del RLS interno, inoltre, il datore di lavoro è obbligato, ai sensi dell’art. 48 del D. Lgs. n. 81/2008, a partecipare al Fondo previsto dall’art. 52 dello stesso decreto ed a versare un contributo in misura pari a due ore lavorative annue per ogni lavoratore occupato presso l'azienda ovvero presso l'unità produttiva (art. 52 comma 2 lettera a). L’organismo paritetico o, in mancanza, il Fondo provvederà poi a comunicare (art. 48 comma 6) alle singole aziende, che non hanno al loro interno il RLS ed ai lavoratori interessati, il nominativo del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza territoriale (RLST) il quale avrà nei confronti delle aziende gli stessi diritti dei RLS che non sono in esse presenti.

Nel caso in cui, invece, il RLS è stato eletto o designato è obbligo del datore di lavoro, dopo che gli è pervenuta da parte dei lavoratori la comunicazione in tal senso, di avviare il RLS alla formazione specifica della quale lo stesso ha diritto e prevista dall’art. 37 comma 10 del D. Lgs. n. 81/2008, secondo le modalità, la durata (almeno di 32 ore) ed i contenuti specifici riportati nel Decreto del Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale del 16/1/1997, che rimane in vigore fin quando non verranno fornite delle precise indicazioni in merito in sede di contrattazione collettiva nazionale, così come previsto dall’art. 37 comma 11 del D. Lgs. n. 81/2008. Il legislatore ha, altresì, assegnato al datore di lavoro l’obbligo di comunicare annualmente all’Inail il nominativo del RLS, così come previsto dall’art. 18 comma 1 lettera aa) dello stesso D. Lgs. n. 81/2008, obbligo sanzionato per gli inadempienti con la sanzione amministrativa pecuniaria di 500 euro. Si consulti a proposito la circolare Inail n. 11 del 12/3/2009 che ha fissato delle modalità per l’effettuazione di tale comunicazione.
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Correttivo Decreto 81: il nuovo quadro sanzionatorio:

Correttivo Decreto 81: il nuovo quadro sanzionatorio

le modifiche "qualitative" (e non quantitative) al sistema sanzionatorio del Testo Unico secondo il decreto correttivo

come cambiano i tipi di sanzioni, i loro effetti e i regimi di estinzione degli illeciti.

Il sistema sanzionatorio contenuto nel testo unico in materia di salute e sicurezza sul lavoro (D.Lgs.81/08) è stato oggetto di rivisitazione da parte dello schema di decreto correttivo dello stesso non solo sul piano degli importi delle sanzioni penali ed amministrative (in termini di riduzione o comunque modifica dei minimi e massimi delle sanzioni pecuniarie o della durata delle pene detentive), che qui non ci interessa prendere in esame, ma anche sul piano qualitativo della scelta dei tipi di sanzione (ad esempio sostituzione della pena esclusiva con pena alternativa), dell’attribuzione di nuove o diverse sanzioni (ad es. sostituzione della ammenda con la sanzione amministrativa pecuniaria o viceversa), dell’eliminazione delle sanzioni per determinati illeciti o ancora della riconduzione di alcune sanzioni a particolari regimi giuridici (quali il D.Lgs. 758/94 o altri meccanismi di estinzione degli illeciti).

Va da sé che un’analisi del sistema sanzionatorio sul piano qualitativo deve essere condotta con un criterio sistematico che tenga conto del complesso delle modifiche apportate al decreto; dunque una lettura delle modifiche al titolo primo non può essere completa se non incrociata ad una lettura delle modifiche ai titoli dodicesimo e tredicesimo, così come ad esempio la reintroduzione del potere di disposizione non può non essere guardata e analizzata alla luce dell’art. 2-bis dello schema (“Presunzione di conformità relativa a norme tecniche, buone prassi e modelli organizzativi”), e così via. Lo stesso vale poi per i poteri attribuiti agli organi di vigilanza che non possono essere disgiunti, nell’analisi, dalle modifiche al quadro sanzionatorio.

Da un’analisi così condotta (che in questo contributo è limitata ai reati di pericolo e non a quelli di evento) emergono dunque rilevanti modifiche al quadro sanzionatorio che possono essere così riassunte.

Casi di applicazione della pena del solo arresto.

- Tra le ipotesi contenute nell’art. 55 c. 2 D.Lgs. 81/08 (aziende con particolari rischi nelle quali la pena per l’omessa valutazione dei rischi o la mancata nomina dell’RSPP è aggravata e quindi è rappresentata dall’arresto in via esclusiva) è stata soppressa la lettera c) relativa ai cantieri con compresenza di più imprese e la cui entità presunta non era inferiore a 200 uomini-giorno mentre è stata aggiunta la voce relativa alle strutture di ricovero e cura.

- È stato eliminato un caso di applicazione della pena esclusiva dell’arresto (in quanto trasformata nella pena alternativa dell’arresto o dell’ammenda), prevista dal D.Lgs. 81/08 per la violazione dell’obbligo del datore di lavoro di affidare i compiti ai lavoratori in relazione alle condizioni e capacità degli stessi in relazione alla loro salute e sicurezza, ai sensi dell’art. 18 c. 1 lett. c), nelle aziende di cui all’art. 55 comma 2 (elenco di aziende di cui al punto sopra che presentano rischi significativi).

Casi di applicazione della pena della sola ammenda.

A seguito della ricomprensione della pena esclusiva dell’ammenda tra i presupposti di applicazione del regime previsto dal D.Lgs. 758/94 (ex art. 130 dello schema di decreto), i casi in cui tale sanzione è prevista sarebbero presidiati, in caso di entrata in vigore del decreto correttivo, in maniera inferiore rispetto ai casi (che rappresentano la maggior parte nel testo unico) in cui è prevista la sanzione alternativa dell’arresto o dell’ammenda, con l’effetto di una significativa riduzione dell’afflittività collegata a tale pena (della sola ammenda).

- In tale ottica, la sanzione dell’ammenda prevista dai commi 3 e 3-bis dell’art. 55 - come riformulati dallo schema di decreto correttivo - prevista per la violazione di specifici commi degli artt. 28 e 29 del D.Lgs. 81/08 (riferiti ai contenuti e alle modalità di effettuazione della valutazione dei rischi), non trasformata dallo schema di decreto in sanzione alternativa dell’arresto o dell’ammenda, in conseguenza dell’introduzione dell’art. 130 dello schema di decreto perderebbe il carattere affittivo tipico delle sanzioni comminate in via esclusiva (non ricadenti, prima, nel D.Lgs. 758/94) divenendo “oblazionabile” in via amministrativa.

La volontà del legislatore che ha ispirato tale scelta è esplicitata nella Relazione di accompagnamento allo schema di decreto, che inquadra concettualmente la mancanza dei requisiti del DVR contenuti in tali commi come semplici “irregolarità”.

La Relazione stessa sottolinea infatti che “al comma 3 si costruisce una sanzione più lieve (pena della sola ammenda alla quale si estende l’istituto della prescrizione, disciplinato all’articolo 301) per le ipotesi di “irregolarità parziali” del documento di valutazione dei rischi. Con lo stesso criterio, graduando la pena per il principio di proporzionalità, si costruisce il comma 3-bis per le altre ipotesi di parziale irregolarità del documento di valutazione del rischio (D.V.R.)”.

- È stata inserita la specificazione contenuta nella lettera g) dell’articolo 18, comma 1, del D.Lgs. 81/08 (tramite l’aggiunta del primo periodo) secondo cui il datore di lavoro ha l’obbligo di “g) inviare i lavoratori alla visita medica entro le scadenze previste e richiedere al medico competente l’osservanza degli obblighi previsti a suo carico nel presente decreto” .

Tale nuovo obbligo, così come quello previsto dal successivo periodo che è già presente nel decreto 81 (“richiedere al medico competente l’osservanza degli obblighi previsti a suo carico nel presente decreto”), è ora in base al decreto correttivo sanzionato penalmente a carico del datore di lavoro con la pena della sola ammenda.

Dunque la sanzione prevista per l’obbligo del datore di lavoro di “richiedere al medico competente l’osservanza degli obblighi previsti a suo carico nel presente decreto” è stata declassata da pena alternativa dell’arresto o dell’ammenda a pena esclusiva della sola ammenda, ora oblazionabile secondo il D.Lgs. 758/94.

- Data la natura meno affittiva della pena esclusiva dell’ammenda quale risultante dal decreto correttivo, tale sanzione prevista dal testo unico per la violazione dell’art. 19 comma 1 lett. g) da parte del preposto che non frequenti i corsi di formazione di cui all’art. 37 comma 7 è stata ora ricondotta alla pena alternativa dell’arresto o dell’ammenda, di natura più afflittiva.

Casi di applicazione della pena alternativa dell’arresto o dell’ammenda

- La nomina del medico competente, che è delegabile tanto che è prevista tra i “compiti del datore di lavoro o del dirigente” di cui all’art. 18 D.Lgs. 81/08, è ora sanzionata solo a carico del datore di lavoro accanto alle altre sanzioni relative invece agli illeciti riconducibili agli obblighi indelegabili.

- É stata sanzionata con la pena alternativa dell’arresto o dell’ammenda la mancata collaborazione da parte del medico competente alla valutazione dei rischi (art. 25 comma 1 lett. a).

- Le sanzioni previste per i lavoratori autonomi (ed equiparati ex art. 21) sono state trasformate da amministrative (quali sono attualmente secondo il D.Lgs. 81/08) a penali (con pena alternativa dell’arresto o dell’ammenda).

Casi di applicazione della sanzione amministrativa pecuniaria.

Come si legge nella Relazione di accompagnamento allo schema di decreto, se - come detto - “la “prescrizione obbligatoria” (ex d.lgs. n. 758/1994), che permette di mettere in sicurezza gli ambienti di lavoro, viene estesa ai reati puniti con la sola ammenda”, parallelamente “un analogo istituto viene introdotto per le violazioni punite con sanzione pecuniaria amministrativa, con la chiara finalità, palesata nella legge delega, di puntare alla effettività della reazione punitiva, previo ripristino delle condizioni di legalità”.

L’“articolo 301-bis del decreto correttivo prevede infatti, come recita la sua rubrica, un nuovo meccanismo di “estinzione agevolata degli illeciti amministrativi a seguito di regolarizzazione”, secondo il quale “in tutti i casi di inosservanza degli obblighi puniti con sanzione pecuniaria amministrativa il trasgressore, al fine di estinguere l’illecito amministrativo, è ammesso al pagamento di una somma pari alla misura minima prevista dalla legge qualora provveda a regolarizzare la propria posizione non oltre il termine assegnato dall’organo di vigilanza mediante verbale di primo accesso ispettivo”.

Dunque in questi casi non vi sarà una “prescrizione” da parte dell’organo di vigilanza, bensì una indicazione da parte dello stesso del termine che viene assegnato in quanto ritenuto congruo, quindi con un meccanismo che giocoforza si discosterà dalla sistematicità che caratterizza l’attività di vigilanza svolta invece secondo il D.Lgs. 758/94.

Andando ora ad analizzare i singoli illeciti amministrativi:

- È stata introdotta la sanzione amministrativa pecuniaria in caso di violazione da parte del datore di lavoro del divieto di effettuare la sorveglianza sanitaria per accertare stati di gravidanza o al di fuori dei casi tassativamente previsti dalla legge (art. 41 comma 3 lett. b) e c).

- Sono state introdotte ex novo le sanzioni (amministrative pecuniarie) a carico del medico competente per violazione dei commi 3 e 8 dell’art. 41.

- È stata abrogata la sanzione amministrativa pecuniaria prevista dal testo unico per la violazione della lett. m) dell’art. 25, secondo cui il medico competente “partecipa alla programmazione del controllo dell’esposizione dei lavoratori i cui risultati gli sono forniti con tempestività ai fini della valutazione del rischio e della sorveglianza sanitaria”.
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SANZIONE mancata Valutazione dei Rischi

Valutazione dei Rischi: Sanzioni

La mancanza della data certa sul documento di valutazione dei rischi è sanzionabile?

QUESITO: l'art. 55 comma 1 parla di omissione della valutazione dei rischi e non fa riferimento al comma 2 dell'art. 28.

Se l'organo di vigilanza durante una ispezione condotta dopo il 16 maggio 2009 trova un DVR datato 28 dicembre 2008 senza data certa può sanzionare il datore di lavoro per l'assenza di tale data. A quale sanzione, inoltre, va incontro un datore di lavoro che non ha provveduto ad effettuare la valutazione dei rischi da stress lavoro-correlato entro il 16 maggio 2009?

RISPOSTA: Per rispondere ai quesiti formulati occorre effettuare una lettura combinata dell’art. 17 comma 1 lettera a) del D. Lgs. 9/4/2008 n. 81, contenente il Testo Unico in materia di salute e sicurezza sul lavoro, che ha istituito l’obbligo non delegabile da parte del datore di lavoro della valutazione dei rischi nei luoghi di lavoro, con l’art. 28 dello stesso decreto legislativo che fissa l’oggetto della valutazione dei rischi stessi nonché il contenuto ed i requisiti del documento di valutazione dei rischi (DVR) da redigere all’esito della citata valutazione.

Secondo l’art. 17 comma 1 lettera a) del D. Lgs. n. 81/2008:

“1. Il datore di lavoro non può delegare le seguenti attività:
a) la valutazione di tutti i rischi con la conseguente elaborazione del documento previsto dall'articolo 28;
b) la designazione del responsabile del servizio di prevenzione e protezione dai rischi”.

Secondo l’art. 28 del D. Lgs. n. 81/2008 poi:

“1. La valutazione di cui all'articolo 17, comma 1, lettera a), anche nella scelta delle attrezzature di lavoro e delle sostanze o dei preparati chimici impiegati, nonché nella sistemazione dei luoghi di lavoro, deve riguardare tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, ivi compresi quelli riguardanti gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari, tra cui anche quelli collegati allo stress lavoro-correlato, secondo i contenuti dell'accordo europeo dell'8 ottobre 2004, e quelli riguardanti le lavoratrici in stato di gravidanza, secondo quanto previsto dal decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, nonché quelli connessi alle differenze di genere, all'età, alla provenienza da altri Paesi.
2. Il documento di cui all'articolo 17, comma 1, lettera a), redatto a conclusione della valutazione, deve avere data certa e contenere:
a) una relazione sulla valutazione di tutti i rischi per la sicurezza e la salute durante l'attività lavorativa, nella quale siano specificati i criteri adottati per la valutazione stessa;
b) l'indicazione delle misure di prevenzione e di protezione attuate e dei dispositivi di protezione individuali adottati, a seguito della valutazione di cui all'articolo 17, comma 1, lettera a);
c) il programma delle misure ritenute opportune per garantire il miglioramento nel tempo dei livelli di sicurezza;
d) l'individuazione delle procedure per l'attuazione delle misure da realizzare, nonché dei ruoli dell'organizzazione aziendale che vi debbono provvedere, a cui devono essere assegnati unicamente soggetti in possesso di adeguate competenze e poteri;
e) l'indicazione del nominativo del responsabile del servizio di prevenzione e protezione, del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza o di quello territoriale e del medico competente che ha partecipato alla valutazione del rischio;
f) l'individuazione delle mansioni che eventualmente espongono i lavoratori a rischi specifici che richiedono una riconosciuta capacità professionale, specifica esperienza, adeguata formazione e addestramento.
3. Il contenuto del documento di cui al comma 2 deve altresì rispettare le indicazioni previste dalle specifiche norme sulla valutazione dei rischi contenute nei successivi titoli del presente decreto”.

Come è noto l’obbligo di apporre la data certa sul documento di valutazione dei rischi, che era stato già fissato al 1°/1/2009, è entrato in vigore il 16/5/2009 in virtù della proroga concessa con il decreto-legge 30/12/2008 n. 207 convertito, con modificazioni, con la legge 27/2/2009 n. 14 con il quale è stato prorogato anche l’entrata in vigore dell’obbligo della valutazione dei rischi limitatamente a quelli da stress lavoro-correlato. Alla luce di quanto sopra detto, quindi, è evidente, in premessa ed in risposta al quesito formulato, che i DVR redatti e datati prima del 16/5/2009 non sono sottoposti all’obbligo della certificazione della data di redazione.
Per quanto riguarda, invece, le sanzioni da applicare nel caso di DVR privi di data certa occorre fare riferimento all’art. 55 comma 1 lettera a) del D. Lgs. n. 81/2008 che così recita:

“1. È punito con l'arresto da quattro a otto mesi o con l'ammenda da 5.000 a 15.000 euro il datore di lavoro:
a) che omette la valutazione dei rischi e l'adozione del documento di cui all'articolo 17, comma 1, lettera a), ovvero che lo adotta in assenza degli elementi di cui alle lettere a), b), d) ed f) dell'articolo 28 e che viola le disposizioni di cui all'articolo 18, comma 1, lettere q) e z), prima parte”.

Secondo quanto discende dalla lettura dei sopra citati articoli si è del parere, quindi, in risposta al quesito formulato, che il datore di lavoro che ha provveduto, a partire dal 16/5/2009, data di entrata in vigore dell’obbligo, ad apporre sul DVR o su documentazione ad esso integrativa una data non certificata è passibile della sanzione prevista dal citato art. 55 comma 1, stabilita nell’arresto da quattro ad otto mesi o nell’ammenda da 5.000 a 15.000 euro “per aver omesso di elaborare il documento di valutazione dei rischi di cui all’art. 17 comma 1 lettera a) secondo i requisiti previsti dall’art. 28 dello stesso D. Lgs. n. 81/2008 il quale con il comma 2 ha imposto l’apposizione di una data certa sul documento medesimo”.
Quindi, in definitiva, non fornire di data certa un DVR elaborato al termine di una valutazione dei rischi presenti nei luoghi di lavoro, benché obbligatorio, equivale in sostanza, ai fini della applicazione delle relative sanzioni a non aver effettuata la valutazione dei rischi medesimi.
A tal punto è da tenere inoltre presente quanto stabilito dal comma 2 dello stesso articolo 55 che prevede un aggravamento delle sanzioni da applicare a carico dei datori di lavoro di aziende presso le quali si svolgono attività a particolare rischio.

Secondo tale comma 2, infatti,:

“2. Nei casi previsti al comma 1, lettera a), si applica la pena dell'arresto da sei mesi a un anno e sei mesi se la violazione è commessa:
a) nelle aziende di cui all'articolo 31, comma 6, lettere a), b), c), d), f);
b) in aziende in cui si svolgono attività che espongono i lavoratori a rischi biologici di cui all'articolo 268, comma 1, lettere c) e d), da atmosfere esplosive, cancerogeni mutageni, e da attività di manutenzione, rimozione smaltimento e bonifica di amianto;
c) per le attività disciplinate dal titolo IV caratterizzate dalla compresenza di più imprese e la cui entità presunta di lavoro non sia inferiore a 200 uomini-giorno”.

Il legislatore con lo stesso art. 55 ha poi previsto una graduazione delle sanzioni per quanto riguarda la mancanza nel DVR degli elementi indicati nell’art. 28 comma 2 dalla lettera a) alla lettera f), gli ultimi tre dei quali risultano innovativi rispetto a quanto previsto dal corrispondente art. 4 comma 2 dell’abrogato D. Lgs. n. 626/1994 e s.m.i.. In particolare le sanzioni sono state distribuite secondo quanto indicato nel prospetto che segue:

Art 28 c. 1 lettera a)

Mancanza di una relazione sulla valutazione di tutti i rischi per la sicurezza e la salute durante l'attività lavorativa, nella quale siano specificati i criteri adottati per la valutazione stessa; arresto da quattro a otto mesi o ammenda da 5.000 a 15.000 euro
Art 28 c. 1 lettera b)

Mancanza della indicazione delle misure di prevenzione e di protezione attuate e dei dispositivi di protezione individuali adottati, a seguito della valutazione di cui all'articolo 17, comma 1, lettera a); arresto da quattro a otto mesi o ammenda da 5.000 a 15.000 euro

Art 28 c. 1 lettera c)

Mancanza del programma delle misure ritenute opportune per garantire il miglioramento nel tempo dei livelli di sicurezza; ammenda da 3.000 a 9.000 euro

Art 28 c. 1 lettera d)

Mancanza della individuazione delle procedure per l'attuazione delle misure da realizzare, nonché dei ruoli dell'organizzazione aziendale che vi debbono provvedere, a cui devono essere assegnati unicamente soggetti in possesso di adeguate competenze e poteri; arresto da quattro a otto mesi o ammenda da 5.000 a 15.000 euro

Art 28 c. 1 lettera e)

Mancanza della indicazione del nominativo del responsabile del servizio di prevenzione e protezione, del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza o di quello territoriale e del medico competente che ha partecipato alla valutazione del rischio; ammenda da 3.000 a 9.000 euro

Art 28 c. 1 lettera f)

Mancanza della individuazione delle mansioni che eventualmente espongono i lavoratori a rischi specifici che richiedono una riconosciuta capacità professionale, specifica esperienza, adeguata formazione e addestramento. arresto da quattro a otto mesi o ammenda da 5.000 a 15.000 euro

E’ opportuno a proposito ricordare che con il decreto integrativo e correttivo del D. Lgs. n. 81/2008 il cui schema, dopo essere stato approvato dal Consiglio dei Ministri, è passato al vaglio della Conferenza delle Regioni ed è attualmente in discussione al Parlamento, è stata proposta una modifica dell’art. 28 del D. Lgs. n. 81/2008 nella parte relativa all’obbligo della data certa sul documento di valutazione dei rischi il quale, secondo quanto si legge nell’art. 16 dello stesso schema, d’accordo anche la Conferenza delle Regioni, potrebbe essere sostituito, in alternativa, con la “sottoscrizione del documento medesimo da parte del datore di lavoro, nonché dalla sottoscrizione per presa visione del responsabile del servizio di prevenzione e protezione e del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza o del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza territoriale e da parte del medico competente ove nominato”.

Purtroppo, però, per un mancato allineamento delle scadenze per l’obbligo della data certa, entrato in vigore il 16/5/2009, e dell’emanazione del decreto correttivo del D. Lgs. n. 81/2008, che dovrebbe avvenire entro il 16/8/2009, si è verificata una situazione davvero anomala in quanto a partire dal 16/5/2009 è entrato in vigore un obbligo, quello della data certa appunto, per il quale è prevista ad agosto 2009 l’abolizione e tutto ciò con il sorgere conseguentemente di notevoli ripercussioni e disagi se solo si pensa che tale obbligo è supportato, così come sopra indicato, da sanzioni penali anche rilevanti.

Nel caso poi di una mancata valutazione dei rischi da stress lavoro-correlato, di cui alla seconda parte del quesito, è analogamente applicabile a carico del datore di lavoro la sanzione prevista dall’art. 55 comma 1 lettera a), stabilita nell’arresto da quattro a otto mesi o nell’ammenda da 5.000 a 15.000 euro, per la violazione dell’art. 28 comma 1 del D. Lgs. n. 81/2008 ed in particolare “per aver omesso di valutare e di riportare nel conseguente DVR l’esito della valutazione dei rischi collegati allo stress lavoro-correlati esplicitamente indicati fra i rischi da valutare obbligatoriamente nell’art. 28 comma 1 del D. Lgs. n. 81/2008”.
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30 luglio 2010

PROROGA VALUTAZIONE STRESS - LAVORO CORRELATO

VALUTAZIONE STRESS-LAVORO CORRELATO: DIFFERIMENTO TERMINE PER TUTTI AL 31 DICEMBRE 2010

Validità della proroga per P.A. e privati

La PROROGA al 31 DICEMBRE 2010 del termine di decorrenza degli obblighi sulla valutazione dei rischi da STRESS da LAVORO-CORRELATO per le pubbliche amministrazioni e' stata estesa anche ai PRIVATI. Lo prevede un emendamento approvato il 24 giugno in commissione Bilancio del Senato.


L'evoluzione della normativa

Gli artt. 28 e 29 del D. Lgs. 81/08, così come novellato dal D. Lgs. 106/09, prevedeva l'obbligo dell'inserimento della valutazione dello stress da lavoro-correlato integrato nel documento di valutazione dei rischi entro il 1 agosto 2010.

Un decreto, decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, recante “'Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica” prevedeva che gli articoli 28 e 29 del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, in materia di rischio da stress lavoro-correlato, non sarebbero stati applicati alle amministrazioni pubbliche almeno fino al 31.12.2010.

La PROROGA, inizialmente, quindi, prevista solo per le P.A., si era resa necessaria per consentire agli enti pubblici di adottare le opportune misure organizzative derivanti dall'obbligo di valutazione tra i diversi rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori anche dello stress lavorativo.

La norma avrebbe, però difatti, introdotto una DISPARITA' di trattamento fra lavoratori delle Pubbliche Amministrazioni ed il resto del mondo del lavoro. I primi, infatti, non avrebbero vista più applicata nei loro confronti la tutela prevenzionistica (limitatamente alla valutazione del rischio da stress lavoro-correlato) disposta dagli articoli 28 e 29 del T.U. Si poneva quindi un quesito sulla legittimità costituzionale di tale provvedimento, che di fatto avrebbe garantito una tutela prevenzionistica “ridotta” ai lavoratori del settore pubblico rispetto a quelli del privato, che avrebbero invece continuato a vedere applicata, nei propri confronti lemisure, in materia di stress lavoro correlato previste dall'attuale “Testo Unico in materia di sicurezza sul lavoro”.

Il successivo EMENDAMENTO approvato il 24 giugno in commissione Bilancio del Senato ESTENDE pertanto la possibilità che la valutazione dei rischi da stress da lavoro-correlato venga prorogata al 31 dicembre 2010 anche per il SETTORE PRIVATO
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14 maggio 2010

OBBLIGO AGGIORNAMENTO FORMAZIONE RLS

L'obbligo di aggiornamento periodico della formazione del RLS vige anche per le
aziende che occupano fino a 15 dipendenti?

Il quesito proposto, relativo all’obbligo dell’aggiornamento del RLS, trova
fondamento normativo nella previsione di cui al comma 6 dell’art. 37, secondo cui la
formazione dei lavoratori e dei loro rappresentanti deve essere periodicamente ripetuta in relazione all’evoluzione dei rischi o all’insorgenza dei nuovo rischi; ai sensi della norma citata, che costituisce diretta emanazione del generale principio in materia di adeguatezza e di efficacia della formazione in relazione ai rischi specifici connessi ad ogni attività produttiva e singola posizione lavorativa, sulla base della valutazione dei rischi effettuata dal datore di lavoro, tutte le aziende, indipendentemente dal numero di lavoratori occupati, sono tenute a ripetere la formazione suddetta al verificarsi dei presupposti sopra sottolineati.

Quali sono le modalità e il contenuto di tali aggiornamenti?

Per quanto riguarda il diverso profilo attinente al contenuto di tale aggiornamento,
occorre far riferimento al comma 11 del medesimo art. 37, che rimette alla contrattazione collettiva nazionale le modalità dell’obbligo di aggiornamento periodico, fissando la durata minima dello stesso in 4 ore annue per le imprese che occupano dai 15 ai 50 lavoratori e a 8 ore annue per le imprese che occupano più di 50 lavoratori.
La circostanza che il legislatore abbia espressamente previsto la durata minima
dell’aggiornamento unicamente per le imprese che superino i detti limiti occupazionali non esclude che le parti, nell’ambito della autonomia contrattuale e nel rispetto delle norme vigenti, possano disciplinare le modalità e la durata dei corsi di aggiornamento anche per le imprese che non raggiungano i suddetti limiti, rientrando comunque tale facoltà nei limiti della delega ad esse conferita dalla norma citata.

Quali sono i soggetti competenti a stabilire tali contenuti e modalità?

Si ritiene che tali modalità possano essere stabilite in sede - espressamente prevista dal legislatore - di contrattazione collettiva nazionale, anche in considerazione del principio di legalità in materia disciplinata da norme il cui inadempimento è amministrativamente sanzionato.
Giova in proposito sottolineare che la funzione attribuita agli organismi paritetici dal comma 12 del citato art. 37 non consista nell’individuazione dei casi in cui sussiste l’obbligo dell’aggiornamento periodico della formazione del RLS né del contenuto della stessa, ma nella collaborazione con il datore di lavoro nello svolgimento della formazione, le cui fonti
normative restano comunque la legge, e, nell’ambito della delega da questa operata, la contrattazione collettiva nazionale.
Alla luce di quanto sopra, si ritiene che il suddetto obbligo di aggiornamento, salva
una diversa eventuale statuizione della contrattazione collettiva in materia, sussiste per le aziende che occupano fino a 15 dipendenti, nei casi previsti dall’art. 37, comma 6, e cioè in relazione all’evoluzione dei rischi o all’insorgenza di nuovo rischi, e deve rispondere all’esigenza di assicurare l’imprescindibile rispetto del limite intrinseco derivante dal carattere di necessaria adeguatezza ed effettività della formazione stessa, secondo quanto
emerge dalla valutazione del rischio effettuata dal datore di lavoro.

fonte: lavoro.gov.it
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12 maggio 2010

Definizione di locale interrato e seminterrato

La definizione di locale interrato e seminterrato è diversa a seconda della fonte di provenienza.
Diversi anni fa il Ministero del Lavoro in una nota inviata agli organi ispettivi periferici diede alcuni indirizzi sull'applicazione dell'art. 8 del D.P.R. n. 303/1956 e si espresse nel senso di considerare locali interrati quelli che hanno il solaio di copertura completamente al di sotto del piano campagna o di pavimentazione esterna e seminterrati quelli il cui solaio di copertura è posto al di sopra dello stesso piano campagna per una altezza inferiore al 50% dell'altezza del locale medesimo, ritenendo assimilabili ai locali al piano quelli invece aventi il solaio di copertura posto, rispetto al piano campagna, a più del 50% dell’altezza del locale medesimo. Per quanto riguarda i locali disposti in zone con piano esterno inclinato o disposti ad altezze diverse la stessa nota suggeriva, per individuare se il locale era interrato, seminterrato o meno, di fare riferimento ad una altezza media perimetrale dei locali da adibire a lavoro.

Successivamente ci sono state altre definizioni di locali interrati e seminterrati (decreto ministeriale sull’edilizia scolastica, decreto antincendio sugli impianti termici a gas, regolamenti comunali, linee guida, norme tecniche, circolari e finanche la giurisprudenza in una sentenza) la più recente delle quali ai fini dell'applicazione dell'art. 8 del D.P.R. n. 303/1956 si trova (pag. 6 e segg.) nelle "Linee-guida per la notifica relativa a costruzione, ampliamento o adattamento di locali e di ambienti lavoro" ex art. 48, D.P.R. n. 303/1956 emesse dalla Regione Piemonte con Deliberazione della Giunta Regionale del 16 gennaio 2006 n. 30-1995 (B.U.R. n. 6, 9 febbraio 2006), alla quale si consiglia di fare riferimento e che così citano in merito testualmente:

Definizioni:
A = Piano naturale del terreno è il piano di campagna circostante il fabbricato.
Risulta orizzontale nel caso del terreno pianeggiante e obliquo nel caso di zona non pianeggiante. In caso di terreni in pendenza il piano di campagna viene riferito alla superficie corrispondente alla quota media aritmetica degli interramenti su ogni parte del locale.
Qualora i terreni in pendenza siano oggetto di sbancamenti il piano di campagna corrisponde al piano del pavimento del fabbricato quando lo spazio circostante il fabbricato, nei lati rivolti verso lo sbancamento, è libero e scoperto per una ampiezza di almeno m 1,20. Quando siano realizzati sbancamenti, il piano di campagna corrisponde al piano del pavimento del fabbricato quando lo spazio circostante il fabbricato nei lati rivolti verso lo sbancamento è libero per una ampiezza di almeno m 1,20. (L’ampiezza del passaggio che circonda le parti del fabbricato rivolte verso le aree di sbancamento consente la realizzazione di vie di esodo o di eccesso per i soccorritori equivalenti a quelle dei piani fuori terra)
B = Piano orizzontale contenente la faccia inferiore (intradosso) del solaio di copertura del locale in esame.
Locale interrato quando la differenza B - A è inferiore a 1/3 dell’altezza del locale;
Locale seminterrato quando la differenza B - A è compresa fra 1/3 e ½ dell’altezza del locale;
Locale assimilabile a fuori terra quando la differenza B - A è superiore a ½ dell’altezza del locale.

Come si vede la differenza fra la definizione data dal Ministero del Lavoro e quella delle linee guida citate consiste solo nel fatto che queste ultime ritengono già locali interrati quelli il cui solaio di copertura è posto ad una altezza sul piano campagna inferiore ad 1/3 dell'altezza del locale.

Sull’uso dei locali interrati e seminterrati si cita anche una sentenza del 13 novembre 1979 della Pretura di Milano in base alla quale "Per la definizione di locale chiuso semisotterraneo, ai sensi dell’art. 8, D.P.R. 19 marzo 1956, n. 303, appare inadeguato il criterio rigido di considerare tale qualunque ambiente chiuso da pareti che si trovi per più della metà della sua altezza sotto il livello stradale, ma occorre rifarsi alla effettiva “ratio” 8 della norma per non dare una risposta puramente formale ai problemi dell’igiene del lavoro. Non può, pertanto, considerarsi locale chiuso semisotterraneo, per il cui impiego in attività produttiva è necessaria l’autorizzazione dell’ispettorato del lavoro, quello che, pur essendo per più della metà della sua altezza sotto il livello stradale, presenti tutta via un lato completamente aperto su un largo spazio libero e abbia una superficie complessiva aerata ed illuminata direttamente superiore a quella chiusa".

tratto da punto sicuro
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10 maggio 2010

Uscite di sicurezza


Per uscita (di sicurezza) il decreto 30/11/1983 intende: Apertura atta a consentire il deflusso di persone verso un luogo sicuro avente altezza non inferiore a 2,00 m. L’uscita, quindi, è un vano porta che si affaccia su un luogo sicuro statico (di solito, all’aperto) o dinamico (un percorso protetto).

Come deve essere realizzata un’uscita di sicurezza?

In primo luogo, l’uscita deve essere adeguatamente segnalata, perchè deve essere riconoscibile come tale. Il pittogramma che si usa (Decreto legislativo n. 81/08 Titolo V art. 161-166, Segnaletica di salute e sicurezza sul lavoro), soprattutto nei luoghi frequentati da persone che non conoscono la lingua locale, non dovrebbe recare scritte (come quella in figura). Si deve pensare, infatti, che uscita di sicurezza si traduce:

•fire exit in inglese;
•sortie de secours in francese;
•notausgang in tedesco
•salida de emergencia in spagnolo

Questa differenza di vocabolario è tale da rendere possibile qualche confusione nelle persone che debbano usare l’uscita in emergenza.

Per quanto riguarda il metodo di apertura, l’uscita non deve essere necessariamente dotata di maniglione antipanico (è obbligatorio solo nei casi in cui lo prevede il DM 3 novembre 2004 (Ministero dell’ Interno. Disposizioni relative all’installazione ed alla manutenzione dei dispositivi per l’apertura delle porte installate lungo le vie di esodo, relativamente alla sicurezza in caso d’incendio), che elenca le categorie di attività in cui devono essere installati:

•i maniglioni antipanico (che devono essere conformi alla UNI EN 1125) oppure;
•le maniglie o piastre a spinta conformi alle norme di sicurezza (in particolare alla UNI EN 179).
Per quanto riguarda l’altezza, è considerata uscita di sicurezza un passaggio alto almeno 2 metri, mentre per quanto riguarda la larghezza, non si può stabilire un valore unico per tutte le uscite. La larghezza delle uscite, infatti, dipende dal numero di persone presenti.

A parte i locali che hanno una norma specifica (alberghi, teatri, cinema, scuole ecc.) per i luoghi di lavoro vale il D.Lgs 81/08 e s.m.i.

Art. 14 (Porte e portoni)

1. Le porte dei locali di lavoro devono, per numero, dimensioni, posizione e materiali di realizzazione, consentire una rapida uscita delle persone ed essere agevolmente apribili dall’interno durante il lavoro.
2. Quando in un locale le lavorazioni e i materiali comportino pericoli di esplosione o specifici rischi di incendio e siano adibiti alle attività che si svolgono nel locale stesso più di cinque lavoratori, almeno una porta ogni cinque lavoratori deve essere apribile nel verso dell’esodo e avere larghezza minima di m. 1,20
3. Quando in un locale si svolgono lavorazioni diverse da quelle previste al comma 2), la larghezza minima delle porte è la seguente:
a) quando in uno stesso locale i lavoratori normalmente ivi occupati siano fino a venticinque, il locale deve essere dotato di una porta avente larghezza minima di m 0,80;
b) quando in uno stesso locale i lavoratori normalmente ivi occupati siano in numero compreso tra ventisei e cinquanta, il locale deve essere dotato di una porta avente larghezza minima di m 1,20 che si apra nel verso dell’esodo;
c) quando in uno stesso locale i lavoratori normalmente ivi occupati siano in numero compreso tra cinquantuno e cento, il locale deve essere dotato di una porta avente larghezza minima di m 1,20 e di una porta avente larghezza minima di m 0,80, che si aprano entrambe nel verso dell’esodo;
d) quando in uno stesso locale i lavoratori normalmente ivi occupati siano in numero superiore a cento, in aggiunta alle porte previste alla lettera c) il locale deve essere dotato di almeno una porta che si apra nel verso dell’esodo avente larghezza minima di m 1,20 per ogni cinquanta lavoratori normalmente ivi occupati o frazione compresa tra dieci e cinquanta calcolati limitatamente all’eccedenza rispetto a cento.
4. Il numero complessivo delle porte di cui al comma 3 può anche essere minore, purché la loro larghezza complessiva non risulti inferiore.
5. Alle porte per le quali è prevista una larghezza minima di m 1,20 è applicabile una tolleranza in meno del 5% (cinque per cento). Alle porte per le quali è prevista una larghezza minima di metri 0,80 è applicabile una tolleranza di meno del 2% (due per cento).
6. Quando in un locale di lavoro le uscite di emergenza di cui all’art. 13 comma 5 coincidono con le porte di cui al comma 1, si applicano le disposizioni di cui all’art. 13 comma 5.
7. Nei locali di lavoro e in quelli adibiti a magazzino non sono ammesse le porte scorrevoli, le saracinesche a rullo, le porte girevoli su asse centrale, quando non esistano altre porte apribili verso l’esterno del locale.
8. Immediatamente accanto ai portoni destinati essenzialmente alla circolazione dei veicoli devono esistere, a meno che il passaggio dei pedoni sia sicuro, porte per la circolazione dei pedoni che devono essere segnalate in modo visibile ed essere sgombre in permanenza.
9. Le porte e i portoni apribili nei due versi devono essere trasparenti o essere muniti di pannelli trasparenti.
10. Sulle porte trasparenti deve essere apposto un segno indicativo all’altezza degli occhi.
11. Se le superfici trasparenti o traslucide delle porte e dei portoni non sono costituite da materiali di sicurezza e c’è il rischio che i lavoratori possano rimanere feriti in caso di rottura di dette superfici, queste devono essere protette contro lo sfondamento.
12. Le porte scorrevoli devono disporre di un sistema di sicurezza che impedisca loro di uscire dalle guide o di cadere.
13. Le porte e i portoni che si aprono verso l’alto devono disporre di un sistema di sicurezza che impedisca loro di ricadere.
14. Le porte e i portoni ad azionamento meccanico devono funzionare senza rischi di infortuni per i lavoratori. Essi devono essere muniti di dispositivi di arresto di emergenza facilmente identificabili ed accessibili e poter essere aperti anche manualmente, salvo che la loro apertura possa avvenire automaticamente in caso di mancanza di energia elettrica.
15. Le porte situate sul percorso delle vie di emergenza devono essere contrassegnate in maniera appropriata con segnaletica durevole conformemente alla normativa vigente. Esse devono poter essere aperte, in ogni momento, dall’interno senza aiuto speciale.
16. Quando i luoghi di lavoro sono occupati le porte devono poter essere aperte.
17. I luoghi di lavoro già utilizzati prima del 1° gennaio 1993 devono essere provvisti di porte di uscita che, per numero ed ubucazione, consentono la rapida uscita delle persone e che sono agevolmente apribili dall’interno durante il lavoro. Comunque, detti luoghi devono essere adeguati quanto meno alle disposizioni di cui ai precedenti commi 9 e 10. Per i luoghi di lavoro costruiti o utilizzati prima del 27 novembre 1994 non si applicano le disposizioni dei commi 2, 3, 4, 5, 6 concernenti la larghezza delle porte. In ogni caso la largezza delle porte di uscita di detti luoghi di lavoro deve essere conforme a quanto previsto dalla concessione edilizia ovvero dalla licenza di abitabilità.
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30 marzo 2010

SANZIONI PER MANCATA FORMAZIONE LAVORATORI

Quali prescrizioni si applicano per la mancata formazione dei lavoratori?

L’obbligo da parte dei datori di lavoro di informare e formare i lavoratori è riportato sia nell’art. 18 comma 1 lettera l) del D. Lgs. 81/08, sia nell’art. 36 e 37 dello stesso decreto legislativo con la differenza che il primo è riportato in un articolo che elenca gli obblighi generali del datore di lavoro e del dirigente e la cui violazione è punita con l’art. 55 del Testo Unico mediante l’arresto da quattro a otto mesi o l’ammenda da 2.000 a 4.000 euro a carico del datore di lavoro e del dirigente (comma 4 lettera e), mentre gli obblighi di cui agli artt. 36 e 37 sono inseriti nella Sezione IV del Titolo I del Testo Unico che riguarda specificatamente la formazione e l’informazione dei lavoratori.

Più precisamente l’art. 36 comma 1 impone al datore di lavoro di provvedere affinché
i lavoratori ricevano un’adeguata informazione, la cui violazione è punita con l’art. 55 comma 4 lettera a) del Testo Unico con l’arresto da due a quattro mesi o con l’ammenda da 800 a 3.000 euro a carico del datore di lavoro e del dirigente, mentre l’art. 37 comma 1 impone che il datore di lavoro si assicuri che sia i lavoratori che i loro rappresentanti ricevano una formazione adeguata, ma per violazione di tale disposizione in realtà il Testo Unico non prevede alcuna sanzione penale.

Si riscontra quindi in questo caso una sovrapposizione di sanzioni o un’ipotesi di
contravvenzione che risulta sprovvista della relativa sanzione. In questo caso
l’obbligo generale e quello specifico prevedono tra l’altro sanzioni di misura diversa.

Quando si verifica una sovrapposizione di previsione sanzionatoria si applica la
sanzione prevista dalle disposizioni specifiche ai sensi del principio di specialità
contenuto nell’art. 298 del D. Lgs.81/08 secondo il quale “quando uno stesso fatto è
punito da una disposizione prevista dal titolo I e da una o più disposizioni previste
negli altri titoli, si applica la disposizione speciale” che in questo caso è anche più favorevole al contravventore.
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SANZIONI MANCATA FONOMETRIA RUMORE

La Valutazione del Rumore

ll D.Lgs. 81/08 e s.m.i.,nella parte relativa al "rumore", ha ribadito l'obbligo di tutti i datori di lavoro di eseguire la "valutazione fonometrica" con il supporto di un “tecnico fonometrico”. I risultati della fonometria devono essere inseriti nella valutazione dei rischi. Il mancato adempimento comporta una sanzione di 4.032 €

Stesso discorso è necessario dare per le "vibrazioni meccaniche" , entrato in vigore nel 2006, ha introdotto l'obbligo di effettuare una valutazione (documento di valutazione) di carico di lavoro d'uso delle attrezzature che emettono vibrazione, secondo parametri e strumenti complessi. Anche il mancato adeguamento a questa norma comporta severe sanzioni.
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MANCATE SANZIONI PER ASSENZA DI DPI

Mancate sanzioni per assenza dei DPI?

Questa notizia è stata tratta da: http://www.porreca.it/

QUESITO

Da una lettura accurata del T.U. non risulterebbe essere assistita da provvedimento sanzionatorio, in capo al DDL (tale sanzione adesso è solo a carico del preposto), la specifica norma di cui all’art. 18 lett. f) che richiede al datore di lavoro di far osservare ,ai propri dipendenti l’utilizzo dei DPI. E’ legittimo, in assenza della figura del preposto, ritenere responsabile per tale inadempienza il datore di lavoro considerato che la previgente normativa ex art. 4 lett. c e art. 389 lett. c del DPR 547/55 prevedeva la relativa sanzione a carico di entrambi i soggetti .

RISPOSTA

Nell’applicazione delle sanzioni penali non è consentito andare né per analogia né per logica per cui se una violazione non è stata supportata esplicitamente da una sanzione, vuoi per dimenticanza del legislatore vuoi per un refuso non è possibile estendere le penalità a persone diverse da quelle espressamente individuate dal legislatore medesimo per cui non si ritiene che si possa addebitare al datore di lavoro l’inadempienza ad un obbligo che il legislatore a posto a carico del preposto che è figura ben diversa dal datore di lavoro stesso né si ritiene faccia testo l’osservazione che il D.P.R. n. 547/1955 ora abrogato prevedesse per lo stesso obbligo una sanzione a carico di entrambe le figure..
Come si è avuto modo già di osservare in occasione della risposta a precedenti quesiti il sistema sanzionatorio nel D. Lgs. n. 81/2008, contenente il Testo Unico in materia di salute e di sicurezza sul lavoro, è stato un po’ bistrattato nel senso che è possibile riscontrare nel decreto interi Capi che pur introducendo degli obblighi non prevedono una copertura sanzionatoria, casi in cui per gruppi anche corposi di prescrizioni si applica una sola sanzione e casi anche di sovrapposizioni di sanzioni per la stessa violazione (vedi le prescrizioni sui luoghi di lavoro, sulla sicurezza delle attrezzature, sull’uso dei DPI, ecc.).
Esemplare è il caso che riguarda proprio i DPI in quanto per la mancata fornitura è prevista una sanzione in violazione dell’art. mentre non sono previste sanzioni per tutti gli obblighi relativi all’uso dei DPI medesimi contenuti nel Capo del Titolo . La mancata fornitura dei DPI ancora viene punita sia nel Titolo I contenente gli obblighi generali del datore di lavor che in alcuni altri successivi Titoli inerenti alla esposizione ad alcuni particolari rischi quali il rumore, il rischio cancerogeno edi il rischio chimico.
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CAMBIA MANSIONE CHI E' INIDONEO

MINISTERO DEL LAVORO: CAMBIA MANSIONE CHI E’INIDONEO

Cambia mestiere il lavoratore che non riesce (fisicamente) a sopportare la movimentazione manuale di carichi. Per questa attività (come per tutte quelle rientranti nel Titolo VI del T.u. sicurezza), infatti, il datore di lavoro è tenuto ad assicurare la sorveglianza sanitaria dei lavoratori. E laddove il medico fornisca giudizio d’inidoneità, è tenuto a spostare il lavoratore ad altra mansione. Lo precisa il ministero del lavoro in una risposta a un apposito quesito concernente l’uso dei Dpi, i Dispositivi di protezione individuale (Faq).


UTILIZZO DEI DPI:

I chiarimenti rispondono ad uno specifico quesito che chiede di conoscere quali sono gli obblighi cui i datori di lavoro e lavoratori sono tenuti ad ottemperare in materia di Dpi. La normativa in tema di uso dei Dpi, spiega il ministero, è regolata dagli articoli 74 e seguenti del T.u. sicurezza (dlgs n. 81/2008).


In particolare, l’elemento di riferimento per l’applicazione dell’obbligo dell’uso di questi dispositivi è l’allegato VIII (estratto in tabella). La normativa pone degli obblighi in materia di uso dei Dpi sia in capo al datore di lavoro che ai lavoratori, prevedendo, che gli stessi devono essere impiegati quando i rischi non possono essere evitati o sufficientemente ridotti da misure tecniche di prevenzione;
mezzi di protezione collettiva; misure, metodi o procedimenti di riorganizzazione del lavoro, e che gli stessi devono tener conto delle esigenze ergonomiche o di salute del lavoratore e poter essere utilizzati dall’utilizzatore secondo le sue necessità.

LE SANZIONI PER I LAVORATORI:
Il corretto uso dei Dpi nei casi in cui questo sia previsto, aggiunge il ministero, costituisce obbligo per i lavoratori, la cui violazione è sanzionata. In particolare, l’articolo 78 del T.u. stabilisce che i lavoratori:
· Devono sottoporsi al programma di formazione e addestramento organizzato dal datore di lavoro nei casi ritenuti necessari;
· Utilizzando i Dpi messi a disposizione conformemente all’informazione e alla formazione ricevute e all’addestramento eventualmente organizzato e espletato;
· Provvedono alla cura dei Dpi messi a loro disposizione;
· Non vi apportano modifiche di propria iniziativa;
· Al termine dell’utilizzo seguono le procedure aziendali in materia di riconsegna dei Dpi;
· Segnalano immediatamente al datore di lavoro o al dirigente o al preposto qualsiasi difetto o inconveniente da essi rilevato nei Dpi messi a loro disposizione.

Con riferimento ai primi due obblighi (formazione e addestramento e utilizzo dei Dpi), vengono richiamate (e così rese applicabili) le disposizioni dell’articolo 20, comma 2 (rispettivamente), lettera h e lettera d, ossia i principi per cui i lavoratori sono tenuti ad osservare le disposizioni e istruzioni impartite dal datore di lavoro, dai dirigenti e dai preposti, ai fini della protezione collettiva ed individuale, e di partecipare ai programmi di formazione e di addestramento organizzati dal datore di lavoro.
Violare questi principi costa ai lavoratori la pena dell’arresto fino a un mese o l’ammenda da 200 a 600 euro.

IL DIRITTO (PER IL LAVORATORE) AD ALTRE MANSIONI.
Il ministero, inoltre, fa presente che, ove le attività lavorative svolte nell’azienda presso la quale il lavoratore presta la sua attività rientrino nel campo di applicazione del Titolo VI del T.u. sicurezza recante “movimentazione manuale dei carichi” il datore di lavoro è tenuto ad assicurare ai lavoratori la sorveglianza sanitaria. Ai sensi della quale, il lavoratore può chiedere di essere sottoposto a visita medica che verrà effettuata qualora la stessa sia ritenuta dal medico competente correlata ai rischi lavorativi. In relazione al giudizio di idoneità o meno alla mansione specifica espresso dal medico, il datore di lavoro, anche in considerazione di quanto disposto dalla legge n. 68/1999, è tenuto ad attuare le misure indicate dal medico competente e, qualora le stesse prevedano un’inidoneità alla mansione specifica, deve adibire il lavoratore, se possibile, ad altra mansione compatibile con il suo stato di salute.

TRATTO DA ITALIA OGGI DEL 25 GENNAIO 2010
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Cos'è l'H.A.C.C.P.

L'HACCP è un sistema di controllo della produzione degli alimenti che ha come scopo la garanzia della sicurezza igienica e quindi della commestibilità di un alimento.

Il sistema è caratterizzato da sette principi di base :
1- Identificazione di potenziali rischi associati alla produzione di un alimento in tutte le sue fasi dal ricevimento merci fino al consumo;

2- Determinazione dei punti, delle procedure e delle tappe che possono essere controllate al fine di eliminare i rischi o minimizzare la loro possibilità di verificarsi (punti critici di controllo : CCP);

3- Accertamento dei limiti critici che devono essere osservati per assicurare che ogni CCP sia sotto controllo;
4- Istituzione di un sistema di monitoraggio che permetta di assicurarsi il controllo dei CCP tramite un test oppure con osservazioni programmate;
5- Predisposizione di un'azione correttiva da attuare quando il monitoraggio indica che un particolare CCP non è sotto controllo;
6- Definizione delle procedure di verifica di buon funzionamento del sistema HACCP;
7- Organizzazione di un sistema di gestione efficace dei documenti relativi al piano HACCP (raccolta dei dati ed organizzazione della documentazione).


Il metodo deve essere applicato da tutti gli esercizi di ristorazione e comunque da tutte le attività che effettuano la preparazione, la trasformazione, la fabbricazione, il confezionamento, il deposito, il trasporto, la distribuzione, la manipolazione, la vendita o la fornitura, compresa la somministrazione al consumatore. In questa attività rientrano gli esercizi di bar e caffetteria, ristoranti, gelaterie, unità produttive di ristorazione collettiva, pizzerie, pasticcerie, stabilimenti balneari, pubs, buffet di stazione, imprese di cetring e banqueting, panificatori, grossisti, ambulanti, oltre alla grande distribuzione ed ai produttori primari che effettuano la raccolta, la macellazione e la mungitura.


Alle aziende è richiesta la messa a punto di documentazione - da tenere a disposizione dei competenti organi di controllo in occasione di ispezioni da questi effettuate - quale :
- un manuale della qualità aziendale che riporti - oltre alla dichiarazione del titolare dell'esercizio riguardo alla definizione della politica di qualità igienica perseguita dall'azienda - anche la definizione dei ruoli e delle responsabilità, la descrizione dei prodotti e delle materie prime, le norme di riferimento, le procedure di verifica e la programmazione della formazione del personale;
- l'allestimento di schede per le registrazioni delle operazioni di controllo dei punti critici (i più importanti rappresentati da : ricevimento materie prime; temperature di stoccaggio alimenti deperibili; tempi di stoccaggio; igiene delle superfici degli ambienti e delle attrezzature; controllo del prodotto finito);
- la pianificazione di un programma di autocontrollo con l'ausilio di consulenti ed il supporto di laboratori di analisi abilitati;
- la formazione del personale.

tratto da: aepe.it
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COSA SONO LE DIA ALIMENTARI

Sono 2 pratiche, una igienico sanitari e una amministrativa, che devono essere presentate al comune per l'avvio di una nuova attività, e che una volta depositate e protocollate permettono lo svolgimento autorizzato delle diverse attività. Tali pratiche devono anche essere regolarmente aggiornate secondo le variazioni strutturali e processuali che un'azienda può subire, ad esmpio: la variazione dei locali con l'aggiunta di un magazzino o la variazione di una destinazione d'uso di un locale da laboratorio a magazzino; la variazione di un processo produttivo ad esempio se un'azienda inizia a preparare pasta fresca in aggiunta ai processi che fino ad ora effetuava. L'aggiornamento deve avvenire tramite una comunicazione scritta al comune di appartenenza.

Tratto da consulentihaccp.it
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CHE COS'E' UN MANUALE DI AUTOCONTROLLO?

E' un documento obbligatorio per legge che ogni azienda alimentare deve avere, questo deve: essere preparato in coformità ai principi dell H.A.C.C.P. per garantire il controllo dei pericoli che sono significativi per la sicurezza alimentare, essere semplice e strettamente relativo alla tipologia di azienda a cui si riferisce, essere specifico per i processi produttivi dell'azienda che riguarda, essere evolutivo e dinamico nel tempo per seguire l'azienda in ogni sua modifica. L'azienda infatti deve comunicare ai consulenti H.A.C.C.P. ogni variazione relativa alle attrezature, ai locali ed ai processi produttivi in modo da poter mantenere aggiornate il Manuale di Autocontrollo.

tratto da consulentihaccp.it
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OBBLIGHI PREVISTI DALLE NORMATIVE DI AUTOCONTROLLO HACCP

Per mettersi in regola con gli obblighi previsti dalle normative inerenti al H.A.C.C.P. un'azienda deve:

Avere le autorizazioni sanitarie (igienica e amministrativa), anche chiamate DIA (Dichiarazione Inizio Attività) correttamente compilate e depositate in comune.

COSA SONO LE DIA?

Sono 2 pratiche, una igienico sanitari e una amministrativa, che devono essere presentate al comune per l'avvio di una nuova attività, e che una volta depositate e protocollate permettono lo svolgimento autorizzato delle diverse attività. Tali pratiche devono anche essere regolarmente aggiornate secondo le variazioni strutturali e processuali che un'azienda può subire, ad esmpio: la variazione dei locali con l'aggiunta di un magazzino o la variazione di una destinazione d'uso di un locale da laboratorio a magazzino; la variazione di un processo produttivo ad esempio se un'azienda inizia a preparare pasta fresca in aggiunta ai processi che fino ad ora effetuava. L'aggiornamento deve avvenire tramite una comunicazione scritta al comune di appartenenza.

Avere e mantenere aggiornato un Manuale di Autocontrollo elaborato secondo il sistema H.A.C.C.P.

CHE COS'E' UN MANUALE DI AUTOCONTROLLO?

E' un documento obbligatorio per legge che ogni azienda alimentare deve avere, questo deve: essere preparato in coformità ai principi dell H.A.C.C.P. per garantire il controllo dei pericoli che sono significativi per la sicurezza alimentare, essere semplice e strettamente relativo alla tipologia di azienda a cui si riferisce, essere specifico per i processi produttivi dell'azienda che riguarda, essere evolutivo e dinamico nel tempo per seguire l'azienda in ogni sua modifica. L'azienda infatti deve comunicare ai consulenti H.A.C.C.P. ogni variazione relativa alle attrezature, ai locali ed ai processi produttivi in modo da poter mantenere aggiornate il Manuale di Autocontrollo.

Avere un corretto e aggiornato sistema di registrazioni.

QUALI SONO LE REGISTRAZIONI CHE UN'AZIENDA DEVE EFFETTUARE?

Punto A: la registrazione delle temperature dei frigoriferi, congelatori, vetrine refrigerate, banchi caldi ecc..

Da effetuare su appositi moduli.

Punto B: la registrazione delle pulizie da effetuare su appositi moduli

Punto C: la registrazione della rintracciabilità da effetuare su appositi moduli.

Risolvere vari problemi strutturali in modo da rispettare i vari requisiti di posti dai regolamenti comunali di igene e più in generale dal Reg. CE 852/04 (che fa parte del pacchetto igene, un insieme di normative sull'igene dei prodotti alimentari, in vigore dal 2006)

Assicurarsi che il personale abbia ricevuto un adeguata formazione, in relazione al tipo di attività.

QUAL'E' LA FORMAZIONE CHE DEVE ESSERE SVOLTA OBBLIGATORIAMENTE NEL SETTORE ALIMENTARE?

Gli operatori nel settore alimentare ed i responsabili dei piani di autocontrollo devono avere una formazione come previsto della legge Reg. 559/08 che prevede lo svolgimento di 4 Unità Formative.
I, II, III IV U.F. Responsabili attività alimentari complesse.
I, III, IV, U.F. Addetti ad attività alimentari complesse.
Le attività alimentari complesse sono quelle che prevedono la manipolazione diretta di alimenti.

ATTENZIONE!!! SE UN AZIENDA NON E IN REGOLA A GLI OBBLIGHI PREVISTI DALLA LEGGE RISCHIA LE SEGUENTI SENZIONI:

Al momento dei controlli da parte di ASL, NAS, ecc.., secondo la gravità dell'inflazione riscontrata, non viene più dato un tempo di adeguamento per mettersi in regola, ma viene applicata una sanzione immediata di migliaia di euro per ogni aspetto non conforme rilevato.

Esempio 1: se prima, per scarsa igene dei locali, gli Enti di controllo concedevano 60 gorni per rimettersi in regola, ed entro i quali l'azienda deoveva dimostrare di aver sistemato i problemi rilevati, oggi è a loro discrezione l'applicazione immediata di una sanzione a partire da 250,00€ a 1.500,00€.

Esempio 2: ogni inizio attività o variazione dell'attività, o dei locali e delle strutture deve essere notificata al Comune di appartenenza, se questo non viene fato, la sanzsione applicata e dai 1.500,00€ ai 9.000,00 €. In pratica, se nel manuale di autocontrollo dichiaro di fare pasta fresca e successivamente decido di non farla più, questo comporta una variazione dell'attività. Questa variazione va tempestivamente comunicata ai consulenti H.A.C.C.P. i quali provvederanno a comunicare il cambiamento e a variare il manuale di autocontrollo, che DEVE ESSERE SEMPRE ADERENTE ALLA REALTA'.

Esempio 3 : ogni impresa alimentare si deve dotare di un sistema di autocontrollo.Se un'azienda alimentare viene trovata priva del manuale di autocontrollo,le verrà applicata immediatamente una sanzione da 1000€ a 6000€

Esempio 4 : ogni impresa alimentare deve attuare verifiche microbiologiche sui propri processi/prodotti, ai sensi del Reg. 2073/2005. Se un'azienda alimentare è trovata sprovvista di certificati di analisi effettuate sui propri prodotti,sulle superfici,sulle attrezzature e sul personale,è a discrezione dell'Ente di controllo l'applicazione di una sanzione da 1000€ a 6000€.

Esempio 5 : ogni impresa alimentare deve rispettare gli obblighidi formazione del personale. Se viene riscontrata, da un Ente di controllo, la carenza totale di formazione di uno o più dipendenti, l'azienda alimentare può ricadere nelle sanzioni previste per l' assenza o carenza del piano di autocontrollo che vanno da 1000€ a 6000€.

Tratto da: consulentihaccp.it
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SANZIONI HACCP

Oltre alle sanzioni che riguardano la violazione degli obblighi di autocontrollo, vanno sempre tenute presenti le possibili sanzioni relative alla non conformità del prodotto alle norme di legge, che peraltro possono derivare da una non esatta applicazione delle misure di prevenzione e controllo previste dal sopracitato decreto legislativo. La normativa alimentare prevede sia illeciti penali che amministrativi. In particolare:

ILLECITI PENALI

All'interno delle previsioni penalistiche bisogna distinguere tra:

Violazioni di norme poste a tutela della salute pubblica

In questa categoria si ricomprendono tutte quelle violazioni che possono costituire un pericolo per la salute del consumatore. In tale categoria vanno segnalati:

art. 5 l. 283/62 che punisce con l'arresto fino ad un anno e l'ammenda da lire 600.000 a lire 60.000.000 (art. 6/4 l. 283/62) il divieto di mettere in commercio:

alimenti privati anche in parte dei propri elementi nutritivi o mescolati con sostanze di qualità inferiore o comunque trattate in modo da variarne la composizione naturale (lett. a)
in cattivo stato di conservazione (lett. b)

con cariche microbiche superiori ai limiti stabiliti dal regolamento di esecuzione o da ordinanze ministeriali (cfr. OM 11 ottobre 1978) (lett. c)

insudiciate, invase da parassiti, in stato di alterazione o comunque nocive, ovvero sottoposte a lavorazioni o trattamenti diretti a mascherare un preesistente stato di alterazione (lett. d)

con aggiunta di additivi chimici di qualsiasi natura non autorizzati con decreto del Ministero per la Sanità, o, nel caso che siano stati autorizzati, senza l'osservanza delle norme prescritte per il loro impiego (lett. g)

art. 444 c.p., che punisce con la reclusione da 6 mesi a 3 anni e la multa non inferiore a lire 100.000 chiunque metta in commercio sostanze non contraffatte, né adulterate, ma comunque pericolose per la salute pubblica.

Violazioni di norme a tutela della buona fede del consumatore

In tale categoria rientrano tutte le violazioni che ledono la buona fede del consumatore o comunque la lealtà delle trattazioni commerciali. In particolare vanno ricompresi:

art. 515 c.p. "Frode in commercio", che prevede la pena della reclusione fino a 3 anni o la multa non inferiore a lire 200.000, nell'ipotesi di vendita di una cosa mobile (alimenti) per un'altra o di una cosa mobile per origine, provenienza, quantità e qualità diversa da quella dichiarata o pattuita.

art. 516 "Vendita di sostanze non genuine come genuine" , che vieta la vendita di sostanze alimentari non genuine come genuine, sanzionando i contravventori con la reclusione fino a 6 mesi o la multa fino a lire 2.000.000.

art. 13 l. 283/62 , che punisce con l'ammenda da lire 600.000 a lire 15.000.000 l'offerta in vendita o propaganda di sostanze alimentari, adottando denominazioni o nomi impropri, frasi pubblicitarie, marchi o attestati di qualità o genuinità, da chiunque rilasciati, nonché disegni illustrativi tali da sorprendere la buona fede o da indurre in errore gli acquirenti.

Va rilevato che nella giurisprudenza in materia di alimenti si registra una mancanza di uniformità nella qualificazione delle condotte criminose. Non è infatti raro che lo stesso fatto sia ascritto nell'ambito di fattispecie penali anche notevolmente diverse tra loro con conseguente rischio di una disparità di trattamento sanzionatorio.

ILLECITI AMMINISTRATIVI

All'interno delle sanzioni amministrative sono ricomprese in particolare:

le violazioni delle norme previste da Decreto Legislativo 27 gennaio 1992 n. 109 in materia di etichettatura. In particolare:

art. 18/1 che prevede la sanzione amministrativa pecuniaria da lire 1.500.000 a lire 6.000.000 per "chiunque confezioni, detenga per vendere o venda prodotti alimentari non conformi" alle norme del decreto stesso ossia non contenenti le indicazioni prescritte.

art. 18/2 che stabilisce la sanzione amministrativa da lire 6.000.000 a lire 36.000.000 nel caso di violazione dell'art. 2 del Decreto Legislativo 109/92 che stabilisce che "l'etichettatura, la presentazione e la pubblicità dei prodotti alimentari non devono indurre in errore gli acquirenti sulle caratteristiche del prodotto e precisamente sulla natura, sulla identità, sulla qualità, sulla composizione, sulla durabilità, sul luogo di origine o provenienza, sul modo di ottenimento o di fabbricazione del prodotto stesso";

In presenza di sanzioni amministrative il contravventore ha diverse possibilità:

1) "PAGAMENTO IN MISURA RIDOTTA".

Tale procedimento, previsto dall'art. 16 l. 24 novembre 1981 n. 689, prevede la possibilità di estinguere la sanzione (semprecché non sussistano elementi validi per fare opposizione) tramite il pagamento di una somma di denaro pari al doppio del minimo o ad un terzo del massimo della sanzione prevista per la violazione contestata. Tale soluzione risulta tuttavia gravosa nel caso in cui i limiti della sanzione siano elevati.

2) OPPOSIZIONE

L'opposizione si articola in due fasi:

presentazione entro 30 giorni dalla contestazione o dalla notifica della stessa di scritti difensivi all'autorità competente, la quale può archiviare o irrogare la sanzione attraverso una ordinanza ingiunzione.

nel caso in cui venga emessa l'ordinanza ingiunzione, è possibile fare opposizione davanti al Pretore instaurando un normale giudizio civile.

Tratto da : farmacitta.it
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SANZIONE PER ASSENZA DEL CERTIFICATO DI PREVENZIONE INCENDI (CPI)

Sanzione per l'assenza del Certificato di Prevenzione Incendi (CPI).

L’obbligo per le aziende di richiedere il Certificato di Prevenzione Incendi è fissato dall’art. 1, primo comma, della Legge 7/12/1984 n. 818 denominata "Nulla Osta provvisorio per le attività soggette ai controlli di Prevenzione Incendi, modifica degli artt. 2 e 3 della Legge 4/3/82 n. 66 e Norme integrative dell'Ordinamento del Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco" (G.U. n. 338 del 10/2/984).

Tale articolo sancisce infatti che "i titolari delle attività indicate nel Decreto del Ministro dell'Interno 16/2/1982 pubblicato nella G.U. del 9 Aprile 1982 n. 98, sono tenuti a richiedere il Certificato di Prevenzione Incendi secondo le procedure di cui alla Legge 26 Luglio 1965 n. 966 ed al Decreto del Presidente della Repubblica 29 Luglio 1982 n. 577".

Il Decreto del Ministro dell'Interno del 16/02/1982 denominato "Modificazioni del decreto ministeriale 27/09/1965 concernente la determinazione delle attività soggette alle visite di prevenzione incendi" (G. U. n. 98 del 09/4/1982) riporta l'elenco delle attività, dei locali, dei depositi, degli impianti e delle industrie pericolose, i cui progetti sono soggetti all'esame e parere preventivo dei Comandi Provinciali dei Vigili del Fuoco ed il cui esercizio è soggetto a visite di controllo ai fini del rilascio del Certificato di Prevenzione Incendi e per le stesse fissa anche la periodicità delle visite successive.

In particolare l’elenco comprende 97 attività industriali, civili, commerciali, pubbliche e private, nelle quali si producono, si impiegano, si sviluppano e si detengono prodotti infiammabili, incendiabili o esplodenti oppure che, per le dimensioni, ubicazioni o altre ragioni, presentano, in caso di incendio, grave pericolo per la incolumità delle persone ed anche quelle che, pur presentando limitati rischi, sono da considerare pericolose per la conseguenza che eventi, anche di limitata rilevanza, possono avere a causa dell'affollamento delle persone e della loro specifica destinazione.

La penalità per chi, in qualità di titolare di una delle attività di cui al citato D.M. 16/02/1982, ometta di richiedere il rilascio o il rinnovo del Certificato di Prevenzione Incendi era prevista dall'art. 5 della stessa Legge n. 818/1984 ma in merito è da far comunque presente che la Corte Costituzionale, con sentenza n. 282 dell'11/6/1990, pubblicata sulla G.U. n. 25 prima serie speciale del 20/6/1990, ha annullata tale sanzione dichiarando la illegittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 1, 1° comma, e 5, 1° comma, della Legge 7/12/1984 n. 818, motivando la decisione per aver individuato “la Legge i soggetti attivi del reato ed i destinatari dell'obbligo, la cui violazione è sanzionata penalmente, in una fonte di grado inferiore costituita da una atto amministrativo quale è un Decreto Ministeriale ".

La Corte di Cassazione ha già avuto modo in più sentenze di prendere atto che “la norma di cui all’art. 5 della legge n. 818 è stata dichiarata incostituzionale” e di desumere che “il fatto ivi previsto non integra più reato” e la stessa in due altre proprie sentenze della III Sez. risalenti fra il 1999 ed il 2000 ha provveduto a colmare, per quanto riguarda la richiesta del Certificato di Prevenzione Incendi, la lacuna venutasi a creare con la pronuncia della Corte Costituzionale ed ha ripescato quanto disposto dall’art. 36 del D.P.R. n. 547/1955 in merito al controllo dei Vigili del Fuoco per le attività pericolose ed il contenuto della Tabella A allegata al D.P.R. n. 689/1959 che si erano ritenuti ormai abrogati dalla legge n. 818/1984 emanata successivamente.

In altre occasioni in più la stessa Corte di Cassazione ha avuto modo di annullare due sentenze di condanna accettando il ricorso dei titolari ricorrenti nel primo caso di un esercizio commerciale di prodotti per l’edilizia, già condannato per il reato di cui all’art. 36 del D.P.R. n. 547/1955, ed adducendo la motivazione che nelle tabelle allegate al D.P.R. n. 689/1959 non era ricompresa l’attività dallo stesso esercitata (Cass. 18 giugno 2001, Paolillo) e nel secondo caso di un responsabile del servizio di refezione scolastica che argomentava la sua richiesta di annullamento della condanna per le stesse motivazioni (Cass. Sez. III n. 45064 del 24/11/2003).

In occasione di tale ultima sentenza la Corte di Cassazione ha fatto una sorta di riepilogo e di ricostruzione della normativa in argomento sostenendo che “Gli artt. 36 e 37 D.P.R. n. 547/1955 sottopongono al controllo antincendio le “aziende e lavorazioni”, determinate dal D.P.R. n. 689/1959, aventi specifiche caratteristiche. La materia in questione è stata successivamente toccata anche dalla legge n. 818/1984, che, introducendo il nulla-osta provvisorio per le attività soggette ai controlli di prevenzione incendi, ha ampliato la categoria delle stesse, rinviando per l’individuazione di tali “attività” al DM 16 febbraio 1982. Questa disposizione è stata ritenuta illegittima dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 282/1990, per contrasto con l’art. 25, comma 2, Cost.”.

La Corte di Cassazione conclude quindi con affermazioni, che, in carenza di un intervento del legislatore successivo alla sentenza della Corte Costituzionale che ha sancita la incostituzionalità dell'articolo contenente la sanzione per l'assenza del CPI, si possono ritenere al momento una sorta di indirizzo di riferimento per gli operatori di vigilanza. La stessa ha affermato che gli artt. 36 e 37 del D.P.R. n. 547/1955 sono ancora vigenti e “non sono stati toccati dalla successiva legge n. 818/1984 né dalle vicende alla stessa occorse” e che “sono tuttora ‘penalmente’ assoggettate al rilascio del certificato di prevenzione incendi quelle ‘aziende e lavorazioni’ specificatamente indicate nelle tabelle ‘A’ e ‘B’ approvate con D.P.R. n. 689/1959; non lo sono invece, le ‘attività’ individuate con il DM 16 febbraio 1982”.

Interessanti, poi, sono le conclusioni a cui è pervenuta la III Sez. della Corte di Cassazione per quanto riguarda in particolare l’inadempimento di tale obbligo nell'ambito delle scuole escludendo la stessa per tale circostanza la sussistenza del reato in quanto “Mentre il DM 16 febbraio 1982, al punto 85, pone, tra le attività soggette al rilascio del detto certificato ‘scuole di ogni ordine, grado e tipo, collegi, accademie e simili per oltre 100 persone presenti, nulla di simile è previsto dalle tabelle del D.P.R. n. 689/1959, né appare possibile far rientrare il caso in specie in altre categorie in esse contemplate”.

Di recente, comunque, con la sentenza n. 28117 del 23 giugno 2004 la III Sezione Penale della Corte di Cassazione ha fornito sull'argomento un indirizzo in senso opposto. La III Sezione ha preso in esame il caso di un titolare di una azienda agricola che era stato dichiarato colpevole del reato previsto dagli artt. 36 e 37 e 389, lettera h), D.P.R. 547/1955 per avere installato ed utilizzato, senza avere fatto preventiva denuncia al Comando dei Vigili del Fuoco territorialmente competente, un impianto di distribuzione di carburanti per uso privato ed agricolo ed un deposito di olio lubrificante in quantità superiore alla soglia prevista nelle Tabelle B alla voce n. 11,

La III Sezione, a sorpresa, ha accolto il ricorso presentato dall'imputato sostenendo che "il giudice di merito ha fatto riferimento al quantitativo di complessivi kg 500 previsto dal n. 11 della tabella A approvata con D.P.R. n. 689/1959, ma non ha tenuto conto del fatto che l'elenco dei depositi e industrie pericolose soggetti alle visite ed ai controlli di prevenzione incendi è stato modificato ed aggiornato con successivi D.M. 27 settembre 1965 e D.M. 16 ottobre 1982, il quale ultimo, vigente all'epoca del fatto, al n. 15 include in esso solo i depositi di liquidi infiammabili e/o combustibili, per uso industriale, artigianale, agricolo o privato, aventi capacità geometrica complessiva superiore a mc 25.

La Sezione III ha concluso che " i quantitativi di olio combustibile e gasolio rinvenuti all'interno dell'azienda agricola dell'imputato, considerati sia singolarmente, che complessivamente, non raggiungevano la soglia dei mc 25, sicchè il fatto non riveste carattere di illecito penale".

Considerati, in conclusione, gli indirizzi e gli orientamenti contrapposti da parte della stessa Corte di Cassazione appare assolutamente necessario un intervento legislativo di riordino della materia.

Tratto da porreca.it
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