14 maggio 2010

OBBLIGO AGGIORNAMENTO FORMAZIONE RLS

L'obbligo di aggiornamento periodico della formazione del RLS vige anche per le
aziende che occupano fino a 15 dipendenti?

Il quesito proposto, relativo all’obbligo dell’aggiornamento del RLS, trova
fondamento normativo nella previsione di cui al comma 6 dell’art. 37, secondo cui la
formazione dei lavoratori e dei loro rappresentanti deve essere periodicamente ripetuta in relazione all’evoluzione dei rischi o all’insorgenza dei nuovo rischi; ai sensi della norma citata, che costituisce diretta emanazione del generale principio in materia di adeguatezza e di efficacia della formazione in relazione ai rischi specifici connessi ad ogni attività produttiva e singola posizione lavorativa, sulla base della valutazione dei rischi effettuata dal datore di lavoro, tutte le aziende, indipendentemente dal numero di lavoratori occupati, sono tenute a ripetere la formazione suddetta al verificarsi dei presupposti sopra sottolineati.

Quali sono le modalità e il contenuto di tali aggiornamenti?

Per quanto riguarda il diverso profilo attinente al contenuto di tale aggiornamento,
occorre far riferimento al comma 11 del medesimo art. 37, che rimette alla contrattazione collettiva nazionale le modalità dell’obbligo di aggiornamento periodico, fissando la durata minima dello stesso in 4 ore annue per le imprese che occupano dai 15 ai 50 lavoratori e a 8 ore annue per le imprese che occupano più di 50 lavoratori.
La circostanza che il legislatore abbia espressamente previsto la durata minima
dell’aggiornamento unicamente per le imprese che superino i detti limiti occupazionali non esclude che le parti, nell’ambito della autonomia contrattuale e nel rispetto delle norme vigenti, possano disciplinare le modalità e la durata dei corsi di aggiornamento anche per le imprese che non raggiungano i suddetti limiti, rientrando comunque tale facoltà nei limiti della delega ad esse conferita dalla norma citata.

Quali sono i soggetti competenti a stabilire tali contenuti e modalità?

Si ritiene che tali modalità possano essere stabilite in sede - espressamente prevista dal legislatore - di contrattazione collettiva nazionale, anche in considerazione del principio di legalità in materia disciplinata da norme il cui inadempimento è amministrativamente sanzionato.
Giova in proposito sottolineare che la funzione attribuita agli organismi paritetici dal comma 12 del citato art. 37 non consista nell’individuazione dei casi in cui sussiste l’obbligo dell’aggiornamento periodico della formazione del RLS né del contenuto della stessa, ma nella collaborazione con il datore di lavoro nello svolgimento della formazione, le cui fonti
normative restano comunque la legge, e, nell’ambito della delega da questa operata, la contrattazione collettiva nazionale.
Alla luce di quanto sopra, si ritiene che il suddetto obbligo di aggiornamento, salva
una diversa eventuale statuizione della contrattazione collettiva in materia, sussiste per le aziende che occupano fino a 15 dipendenti, nei casi previsti dall’art. 37, comma 6, e cioè in relazione all’evoluzione dei rischi o all’insorgenza di nuovo rischi, e deve rispondere all’esigenza di assicurare l’imprescindibile rispetto del limite intrinseco derivante dal carattere di necessaria adeguatezza ed effettività della formazione stessa, secondo quanto
emerge dalla valutazione del rischio effettuata dal datore di lavoro.

fonte: lavoro.gov.it
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12 maggio 2010

Definizione di locale interrato e seminterrato

La definizione di locale interrato e seminterrato è diversa a seconda della fonte di provenienza.
Diversi anni fa il Ministero del Lavoro in una nota inviata agli organi ispettivi periferici diede alcuni indirizzi sull'applicazione dell'art. 8 del D.P.R. n. 303/1956 e si espresse nel senso di considerare locali interrati quelli che hanno il solaio di copertura completamente al di sotto del piano campagna o di pavimentazione esterna e seminterrati quelli il cui solaio di copertura è posto al di sopra dello stesso piano campagna per una altezza inferiore al 50% dell'altezza del locale medesimo, ritenendo assimilabili ai locali al piano quelli invece aventi il solaio di copertura posto, rispetto al piano campagna, a più del 50% dell’altezza del locale medesimo. Per quanto riguarda i locali disposti in zone con piano esterno inclinato o disposti ad altezze diverse la stessa nota suggeriva, per individuare se il locale era interrato, seminterrato o meno, di fare riferimento ad una altezza media perimetrale dei locali da adibire a lavoro.

Successivamente ci sono state altre definizioni di locali interrati e seminterrati (decreto ministeriale sull’edilizia scolastica, decreto antincendio sugli impianti termici a gas, regolamenti comunali, linee guida, norme tecniche, circolari e finanche la giurisprudenza in una sentenza) la più recente delle quali ai fini dell'applicazione dell'art. 8 del D.P.R. n. 303/1956 si trova (pag. 6 e segg.) nelle "Linee-guida per la notifica relativa a costruzione, ampliamento o adattamento di locali e di ambienti lavoro" ex art. 48, D.P.R. n. 303/1956 emesse dalla Regione Piemonte con Deliberazione della Giunta Regionale del 16 gennaio 2006 n. 30-1995 (B.U.R. n. 6, 9 febbraio 2006), alla quale si consiglia di fare riferimento e che così citano in merito testualmente:

Definizioni:
A = Piano naturale del terreno è il piano di campagna circostante il fabbricato.
Risulta orizzontale nel caso del terreno pianeggiante e obliquo nel caso di zona non pianeggiante. In caso di terreni in pendenza il piano di campagna viene riferito alla superficie corrispondente alla quota media aritmetica degli interramenti su ogni parte del locale.
Qualora i terreni in pendenza siano oggetto di sbancamenti il piano di campagna corrisponde al piano del pavimento del fabbricato quando lo spazio circostante il fabbricato, nei lati rivolti verso lo sbancamento, è libero e scoperto per una ampiezza di almeno m 1,20. Quando siano realizzati sbancamenti, il piano di campagna corrisponde al piano del pavimento del fabbricato quando lo spazio circostante il fabbricato nei lati rivolti verso lo sbancamento è libero per una ampiezza di almeno m 1,20. (L’ampiezza del passaggio che circonda le parti del fabbricato rivolte verso le aree di sbancamento consente la realizzazione di vie di esodo o di eccesso per i soccorritori equivalenti a quelle dei piani fuori terra)
B = Piano orizzontale contenente la faccia inferiore (intradosso) del solaio di copertura del locale in esame.
Locale interrato quando la differenza B - A è inferiore a 1/3 dell’altezza del locale;
Locale seminterrato quando la differenza B - A è compresa fra 1/3 e ½ dell’altezza del locale;
Locale assimilabile a fuori terra quando la differenza B - A è superiore a ½ dell’altezza del locale.

Come si vede la differenza fra la definizione data dal Ministero del Lavoro e quella delle linee guida citate consiste solo nel fatto che queste ultime ritengono già locali interrati quelli il cui solaio di copertura è posto ad una altezza sul piano campagna inferiore ad 1/3 dell'altezza del locale.

Sull’uso dei locali interrati e seminterrati si cita anche una sentenza del 13 novembre 1979 della Pretura di Milano in base alla quale "Per la definizione di locale chiuso semisotterraneo, ai sensi dell’art. 8, D.P.R. 19 marzo 1956, n. 303, appare inadeguato il criterio rigido di considerare tale qualunque ambiente chiuso da pareti che si trovi per più della metà della sua altezza sotto il livello stradale, ma occorre rifarsi alla effettiva “ratio” 8 della norma per non dare una risposta puramente formale ai problemi dell’igiene del lavoro. Non può, pertanto, considerarsi locale chiuso semisotterraneo, per il cui impiego in attività produttiva è necessaria l’autorizzazione dell’ispettorato del lavoro, quello che, pur essendo per più della metà della sua altezza sotto il livello stradale, presenti tutta via un lato completamente aperto su un largo spazio libero e abbia una superficie complessiva aerata ed illuminata direttamente superiore a quella chiusa".

tratto da punto sicuro
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10 maggio 2010

Uscite di sicurezza


Per uscita (di sicurezza) il decreto 30/11/1983 intende: Apertura atta a consentire il deflusso di persone verso un luogo sicuro avente altezza non inferiore a 2,00 m. L’uscita, quindi, è un vano porta che si affaccia su un luogo sicuro statico (di solito, all’aperto) o dinamico (un percorso protetto).

Come deve essere realizzata un’uscita di sicurezza?

In primo luogo, l’uscita deve essere adeguatamente segnalata, perchè deve essere riconoscibile come tale. Il pittogramma che si usa (Decreto legislativo n. 81/08 Titolo V art. 161-166, Segnaletica di salute e sicurezza sul lavoro), soprattutto nei luoghi frequentati da persone che non conoscono la lingua locale, non dovrebbe recare scritte (come quella in figura). Si deve pensare, infatti, che uscita di sicurezza si traduce:

•fire exit in inglese;
•sortie de secours in francese;
•notausgang in tedesco
•salida de emergencia in spagnolo

Questa differenza di vocabolario è tale da rendere possibile qualche confusione nelle persone che debbano usare l’uscita in emergenza.

Per quanto riguarda il metodo di apertura, l’uscita non deve essere necessariamente dotata di maniglione antipanico (è obbligatorio solo nei casi in cui lo prevede il DM 3 novembre 2004 (Ministero dell’ Interno. Disposizioni relative all’installazione ed alla manutenzione dei dispositivi per l’apertura delle porte installate lungo le vie di esodo, relativamente alla sicurezza in caso d’incendio), che elenca le categorie di attività in cui devono essere installati:

•i maniglioni antipanico (che devono essere conformi alla UNI EN 1125) oppure;
•le maniglie o piastre a spinta conformi alle norme di sicurezza (in particolare alla UNI EN 179).
Per quanto riguarda l’altezza, è considerata uscita di sicurezza un passaggio alto almeno 2 metri, mentre per quanto riguarda la larghezza, non si può stabilire un valore unico per tutte le uscite. La larghezza delle uscite, infatti, dipende dal numero di persone presenti.

A parte i locali che hanno una norma specifica (alberghi, teatri, cinema, scuole ecc.) per i luoghi di lavoro vale il D.Lgs 81/08 e s.m.i.

Art. 14 (Porte e portoni)

1. Le porte dei locali di lavoro devono, per numero, dimensioni, posizione e materiali di realizzazione, consentire una rapida uscita delle persone ed essere agevolmente apribili dall’interno durante il lavoro.
2. Quando in un locale le lavorazioni e i materiali comportino pericoli di esplosione o specifici rischi di incendio e siano adibiti alle attività che si svolgono nel locale stesso più di cinque lavoratori, almeno una porta ogni cinque lavoratori deve essere apribile nel verso dell’esodo e avere larghezza minima di m. 1,20
3. Quando in un locale si svolgono lavorazioni diverse da quelle previste al comma 2), la larghezza minima delle porte è la seguente:
a) quando in uno stesso locale i lavoratori normalmente ivi occupati siano fino a venticinque, il locale deve essere dotato di una porta avente larghezza minima di m 0,80;
b) quando in uno stesso locale i lavoratori normalmente ivi occupati siano in numero compreso tra ventisei e cinquanta, il locale deve essere dotato di una porta avente larghezza minima di m 1,20 che si apra nel verso dell’esodo;
c) quando in uno stesso locale i lavoratori normalmente ivi occupati siano in numero compreso tra cinquantuno e cento, il locale deve essere dotato di una porta avente larghezza minima di m 1,20 e di una porta avente larghezza minima di m 0,80, che si aprano entrambe nel verso dell’esodo;
d) quando in uno stesso locale i lavoratori normalmente ivi occupati siano in numero superiore a cento, in aggiunta alle porte previste alla lettera c) il locale deve essere dotato di almeno una porta che si apra nel verso dell’esodo avente larghezza minima di m 1,20 per ogni cinquanta lavoratori normalmente ivi occupati o frazione compresa tra dieci e cinquanta calcolati limitatamente all’eccedenza rispetto a cento.
4. Il numero complessivo delle porte di cui al comma 3 può anche essere minore, purché la loro larghezza complessiva non risulti inferiore.
5. Alle porte per le quali è prevista una larghezza minima di m 1,20 è applicabile una tolleranza in meno del 5% (cinque per cento). Alle porte per le quali è prevista una larghezza minima di metri 0,80 è applicabile una tolleranza di meno del 2% (due per cento).
6. Quando in un locale di lavoro le uscite di emergenza di cui all’art. 13 comma 5 coincidono con le porte di cui al comma 1, si applicano le disposizioni di cui all’art. 13 comma 5.
7. Nei locali di lavoro e in quelli adibiti a magazzino non sono ammesse le porte scorrevoli, le saracinesche a rullo, le porte girevoli su asse centrale, quando non esistano altre porte apribili verso l’esterno del locale.
8. Immediatamente accanto ai portoni destinati essenzialmente alla circolazione dei veicoli devono esistere, a meno che il passaggio dei pedoni sia sicuro, porte per la circolazione dei pedoni che devono essere segnalate in modo visibile ed essere sgombre in permanenza.
9. Le porte e i portoni apribili nei due versi devono essere trasparenti o essere muniti di pannelli trasparenti.
10. Sulle porte trasparenti deve essere apposto un segno indicativo all’altezza degli occhi.
11. Se le superfici trasparenti o traslucide delle porte e dei portoni non sono costituite da materiali di sicurezza e c’è il rischio che i lavoratori possano rimanere feriti in caso di rottura di dette superfici, queste devono essere protette contro lo sfondamento.
12. Le porte scorrevoli devono disporre di un sistema di sicurezza che impedisca loro di uscire dalle guide o di cadere.
13. Le porte e i portoni che si aprono verso l’alto devono disporre di un sistema di sicurezza che impedisca loro di ricadere.
14. Le porte e i portoni ad azionamento meccanico devono funzionare senza rischi di infortuni per i lavoratori. Essi devono essere muniti di dispositivi di arresto di emergenza facilmente identificabili ed accessibili e poter essere aperti anche manualmente, salvo che la loro apertura possa avvenire automaticamente in caso di mancanza di energia elettrica.
15. Le porte situate sul percorso delle vie di emergenza devono essere contrassegnate in maniera appropriata con segnaletica durevole conformemente alla normativa vigente. Esse devono poter essere aperte, in ogni momento, dall’interno senza aiuto speciale.
16. Quando i luoghi di lavoro sono occupati le porte devono poter essere aperte.
17. I luoghi di lavoro già utilizzati prima del 1° gennaio 1993 devono essere provvisti di porte di uscita che, per numero ed ubucazione, consentono la rapida uscita delle persone e che sono agevolmente apribili dall’interno durante il lavoro. Comunque, detti luoghi devono essere adeguati quanto meno alle disposizioni di cui ai precedenti commi 9 e 10. Per i luoghi di lavoro costruiti o utilizzati prima del 27 novembre 1994 non si applicano le disposizioni dei commi 2, 3, 4, 5, 6 concernenti la larghezza delle porte. In ogni caso la largezza delle porte di uscita di detti luoghi di lavoro deve essere conforme a quanto previsto dalla concessione edilizia ovvero dalla licenza di abitabilità.
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