18 luglio 2012

Gli obblighi in materia di sicurezza per le imprese familiari

Riflessioni e indicazioni sull’applicazione degli obblighi del D.Lgs. 81/2008 alle imprese familiari. Il collaboratore familiare e il POS ridotto. Imprese familiari con lavoratori dipendenti e imprese artigiane con collaboratori familiari. Mantova, 17 Lug – In questi anni PuntoSicuro, spesso stimolata anche da quesiti dei lettori, è tornata diverse volte sul controverso tema dell’applicazione delle norme relative alla tutela della salute e sicurezza alle imprese familiari. Spesso diversi ordini professionali producono e pubblicano sui loro siti documenti di riflessione sulle tematiche della sicurezza negli ambienti di lavoro, soffermandosi su eventuali dubbi e perplessità. È il caso dell’ Ordine degli Ingegneri della provincia di Mantova che ha recentemente riportato sul suo sito un contributo di Francesco Gallo, funzionario ispettivo Area Tecnica DTL di Mantova, proprio sul tema delle imprese familiari. Contributo pubblicato il 27 marzo 2012 sulla rivista “Ambiente & Sicurezza” de IlSole24Ore. Il contributo - dal titolo “ Nell’impresa familiare quali sono gli obblighi in materia di sicurezza?” – ricorda che fin dall’introduzione in Italia del D.Lgs. 626/1994 “gli obblighi dell’impresa familiare nell’ambito della normativa antinfortunistica sono stati contornati da un alone di indeterminatezza”. Non solo nel testo del decreto 626/1994 mancava qualsiasi richiamo a questa tipologia di impresa (se non per un inciso contenuto nell’art. 4, comma 11), ma il Ministero del Lavoro era intervenuto più volte sulla questione dei collaboratori familiari, ad esempio con la circolare n. 154/1996, 28/1997 e 30/1998. E, ad esempio, la circolare n. 154/1996 “aveva citato la sentenza della Corte Costituzionale 3 maggio 1993, n. 212, che aveva confermato il principio in base al quale la normativa antinfortunistica e di igiene non può trovare applicazione per l’impresa familiare” (l’impresa familiare è permeata di legami affettivi per cui sarebbe problematico l’incastro di obblighi e doveri sanzionati attraverso ipotesi di reato procedibili d’ufficio). Oggi la posizione del legislatore è radicalmente cambiata, anche in relazione all’introduzione, dei cosiddetti contratti atipici che hanno “destrutturato il rapporto di lavoro subordinato classico inducendo il legislatore a delineare un diverso profilo di lavoratore”. Ai sensi dell’art. 2 del Decreto legislativo 81/2008, il lavoratore è una persona che, indipendentemente dalla tipologia contrattuale, svolge un’attività lavorativa nell’ambito dell’organizzazione di un datore di lavoro pubblico o privato, con o senza retribuzione, anche al solo fine di apprendere un mestiere, un’arte o una professione. Mentre per il D.Lgs. 626/1994 il lavoratore era la persona che prestava attività alle dipendenze di un datore di lavoro con rapporto di lavoro subordinato anche speciale. Inoltre con il D.Lgs. 81/2008 ha trovato espresso riconoscimento la figura del collaboratore familiare: nei confronti dei componenti dell’ impresa familiare di cui all’art. 230-bis del codice civile, si applicano le disposizioni di cui all’articolo 21. E l’art.21, che non riguarda solo i componenti dell’impresa familiare ma anche i lavoratori autonomi, dispone che tali lavoratori devono: utilizzare attrezzature di lavoro in conformità alle disposizioni di cui al titolo III; munirsi di dispositivi di protezione individuale e utilizzarli conformemente alle disposizioni di cui al titolo III; munirsi di apposita tessera di riconoscimento corredata di fotografia, contenente le proprie generalità. Inoltre, relativamente ai rischi propri delle attività svolte e con oneri a proprio carico, questi lavoratori hanno facoltà di beneficiare della sorveglianza sanitaria e di partecipare a corsi di formazione specifici in materia di salute e sicurezza sul lavoro. È bene inoltre ricordare che ai sensi dell’art. 4, comma 1, lettera a), D.Lgs. 81/2008, ai fini della determinazione del numero di lavoratori dal quale il presente decreto legislativo fa discendere particolari obblighi non sono computati i collaboratori familiari di cui all’articolo 230-bis del Codice civile. Il contributo, che vi invitiamo a leggere, si sofferma su diversi aspetti utili a fare chiarezza sugli obblighi delle imprese familiari, ad esempio sui caratteri dell’impresa familiare, sulla sua costituzione, sul lavoro nero e sulla figura del titolare dell’impresa familiare. Ricordando, in questo ultimo caso, che se “è vero che ai collaboratori familiari di impresa familiare ex art. 230-bis è applicato l’art. 21, D.Lgs. n. 81/2008, il titolare dell’impresa familiare non può rivestire la funzione di datore di lavoro” Altro tema affrontato è relativo al piano operativo di sicurezza. Infatti “uno dei dubbi più frequenti è quale POS sia più rispondente alle peculiarità dell’impresa familiare ‘pura’, cosiddetta in quanto costituita nel rispetto dei modi previsti dall’art. 5, comma 4, D.P.R. n. 917/1986, e composta dai soli parenti e affini del titolare”. Partendo dalla normativa e dagli obblighi indicati nell’ art. 21 del D.Lgs. 81/2008, ne deriva che, in questa ipotesi, il piano operativo di sicurezza che “l’impresa familiare nel suo insieme è tenuta comunque a redigere”, è un POS “ridotto”, non deve “contenere pedissequamente tutti gli elementi indicati al punto 3.2.1, Allegato XV al D.Lgs. n. 81/2008, in quanto il POS deve essere adeguato alla natura specifica del cantiere e all’attività che in esso l’impresa deve eseguire e redatto secondo criteri di semplicità, brevità e comprensibilità, in modo da garantirne la completezza e l’idoneità quale strumento operativo di pianificazione degli interventi aziendali e di prevenzione”. Nel documento sono riportati i punti che in questo caso il POS deve contenere e quelli che può emettere. I datori di lavoro (Art. 96) delle imprese affidatarie e delle imprese esecutrici, anche nel caso in cui nel cantiere operi una unica impresa, anche familiare o con meno di dieci addetti redigono il piano operativo di sicurezza di cui all’articolo 89, comma 1, lettera h), “ma lo stesso deve essere plasmato e ‘cucito’ sulla base dei reali obblighi che ricadono sui componenti della stessa impresa in virtù della loro classificazione. Se, invece, l’impresa familiare ha dei dipendenti oltre ai collaboratori familiari, il POS non sarà più “ridotto” ma conterrà tutti gli elementi minimi previsti dal punto 3.2.1, Allegato XV al D.Lgs. n. 81/2008”. E l’impresa familiare, “qualora debba operare come impresa esecutrice in un cantiere temporaneo o mobile, deve rispettare le disposizioni di cui al Titolo IV, D.Lgs. n. 81/2008, e, più precisamente, in aggiunta alla redazione del POS, la stessa è destinataria, ai sensi dell’art. 101, comma 2, D.Lgs. n. 81/2008, del piano di sicurezza e di coordinamento (PSC) ed è tenuta a trasmettere il proprio POS, ai sensi dell’art. 101, comma 3, all’impresa affidataria la quale, previa verifica della congruenza rispetto al proprio, lo trasmette al coordinatore per l’esecuzione ed è tenuta a ottemperare agli obblighi sulla predisposizione in cantiere delle misure di sicurezza di cui all’art. 96 contenute nelle altre lettere a), b), c), d), e) e f), e ad attuare, in base all’art. 100, comma 3, quanto previsto sia nel PSC che nello stesso POS al pari di ogni altro lavoratore autonomo o impresa esecutrice”. Il contributo si conclude riportando due ipotesi da cui discendono obblighi diversi: - impresa familiare con lavoratori dipendenti: l’autore ricorda che “se il titolare dell’impresa familiare ha personale dipendente non iscritto né inquadrabile come collaboratore familiare acquisisce nei suoi confronti tutti gli obblighi di un normale datore di lavoro in quanto non è presente alcuna diversa indicazione né deroga all’interno del D.Lgs. n. 81/2008”. Tuttavia se nell’impresa “sono presenti, in aggiunta, anche collaboratori familiari iscritti alla gestione separata INPS e, quindi, non assunti con contratto di lavoro dipendente agli stessi saranno applicati i precetti dell’art. 21, D.Lgs. n. 81/2008. Se, invece, questi coadiuvanti-familiari hanno sottoscritto un contratto di lavoro subordinato col titolare dell’impresa familiare devono essere inquadrati a tutti gli effetti tra i dipendenti, e a questi devono essere applicati, al pari degli altri lavoratori, tutte le tutele e i rispettivi obblighi, come confermato dallo stesso Ministero del Lavoro con circolare n. 30/1998, la quale ha stabilito che il vincolo di subordinazione tra familiari esiste sicuramente nell’ipotesi di formale assunzione con contratto del familiare”; - impresa artigiana con collaboratori familiari: in questo caso si vuole stabilire quali siano gli obblighi propri di un’impresa individuale o altra forma d’impresa artigiana con collaboratori familiari. Secondo l’autore “occorre verificare se anche questi devono essere classificati come lavoratori ex art. 21, D.Lgs. n. 81/2008, o equiparati ai dipendenti”. A questo proposito si segnala che “i collaboratori di un’impresa non familiare costituitasi fuori dell’alveo dell’art. 230-bis, c.c., e art. 5, comma 4, TUIR (quindi, senza atto scritto dinanzi al notaio), non possono godere dell’applicazione della disciplina dell’art. 21, D.Lgs. n. 81/2008, ma devono sottostare alle stesse regole previste per tutti gli altri lavoratori e questo è possibile riscontrarlo nell’art. 4, comma 1, D.Lgs. n. 81/2008, che non ha escluso dal computo dei lavoratori unicamente i componenti di impresa familiare ex art. 230-bis, cod. civ., non già i collaboratori familiari appartenenti ad altre forme di impresa. In definitiva, l’aver specificato che deve trattarsi di impresa familiare ex art. 230-bis, c.c., ha escluso che si possa parlare di impresa familiare al di fuori del regime previsto da quest’ultimo articolo e dagli altri connessi allo stesso”. fonte: puntosicuro.it
Read More...

DPI vie respiratorie agenti biologici, circolare ministero Lavoro

ROMA – Pubblicata dal ministero del Lavoro la circolare n. 15 del 27 giugno 2012, “Dispositivi di Protezione Individuale per la protezione delle vie respiratorie da agenti biologici aerodispersi”. Il documento cita come riferimento dei chiarimenti riportati la pubblicazione INAIL ex ISPESL “Criteri procedurali per la scelta e caratterizzazione dei Dispositivi di Protezione Individuali per il rischio biologico di in attuazione del D.Lgs 81/08 e smi”. In particolare viene chiarito che “I DPI per la protezione specifica delle vie respiratorie da agenti biologici, quali facciali filtranti e filtri da collegare sulle semimaschere o sulle maschere a pieno facciale, sono caratterizzati da una certificazione di Tipo emessa dall’Organismo Notificato che attesti la marcatura CE come dispositivo di protezione individuale in III categoria secondo la Direttiva 686/89 CE e attesti la protezione da agenti biologici del gruppo 2 e 3. Ai sensi della Direttiva 54/2000 CE”. La certificazione CE dei DPI conforme a quanto previsto dalla Direttiva 89/686/Ce è stata recepita in Italia dal Decreto legislativo 475/92 e smi, e possono essere utilizzate in tal senso le successive norme armonizzate pubblicate in G.U. L’uso dei DPI per le vie respiratorie viene valutato idoneo anche per gli agenti biologici aerodispersi. Il ministero chiarisce quindi che solo i DPI conformi a certificazione CE di Tipo derivante da Direttiva 89/686/ possono essere commercializzati, conformi ad allegato II della normativa citata e attestazione del Tipo emessa da Organismo Notificato. Tale procedura è valida anche per la protezione dagli agenti biologici, in nome della norma europea armonizzata EN 149. Risultano quindi idonei per la protezione da agenti biologici i DPI per le vie respiratori certificati CE Capitolo II Direttiva 89/686/CEE gruppi 2 e 3 definiti dalla Direrettiva 2000/54/CE e i DPI CE Capitolo II Direttiva 89/686/CEE da norma armonizzata EN 149.
Read More...

Autorizzazione alle emissioni in atmosfera - D.Lgs. 128/10”

Entro il 31 luglio 2012, dovrà essere presentata alla Provincia territorialmente competente, la domanda di autorizzazione alle emissioni in atmosfera per le attività per le quali è prevista l’applicazione del D.Lgs. 152/06 e che non ricadono nel campo di applicazione del DPR 203/88. Le attività che dovranno presentare la domanda entro il 31 luglio, sono: - Aziende nelle quali sono presenti emissioni diffuse di materiale polverulento, ad esempio in impianti di lavorazione; - Aziende nelle quali sono presenti impianti di emergenza e di sicurezza, come gruppi elettrogeni con potenza nominale superiore a 1MW; - Aziende nelle quali sono presenti impianti termici con potenza termica nominale uguale o superiore a 3MW; - Aziende nelle quali si faccia uso di oli, emulsioni per lavorazioni meccaniche oltre i 500kg/anno; - Aziende nelle quali sono presenti delle linee di trattamento fanghi negli impianti di trattamento delle acque; - Aziende nelle quali vengano utilizzati dei dispositivi mobili all’esterno dello stabilimento. La Provincia avrà poi 8 mesi per esprimere il parere, durante i quali l’attività potrà comunque proseguire in attesa di autorizzazione. In caso di mancata presentazione della domanda entro il termine previsto, le sanzioni previste dall’art. 279 del D.Lgs. 152/06 sono: arresto da due mesi a due anni oppure ammenda da € 250,00 a € 1032,00 Fonte:formlab
Read More...

16 luglio 2012

La tecnologie a supporto della cultura della sicurezza sul lavoro

L’ Accordo Stato-Regioni del 21 dicembre 2011 ha ampliato, anche in numero sostanziale, il numero dei soggetti da sottoporre a processi di formazione obbligatoria ed il monte ore dei corsi di formazione che devono essere frequentati dagli stessi. Il numero di ore previste si differenzia secondo il tipo di rischio a cui i lavoratori sono esposti a seconda del tipo di attività dell’azienda. Tale previsione comporta la necessità, per tutte le aziende italiane, di prevedere un programma formativo adeguato a corrispondere alle prescrizioni dettate dalla legge ma, per alcune, crea delle criticità organizzative derivanti dal numero dei dipendenti da sottoporre a formazione e dalla loro dislocazione sul territorio nazionale che, a volte, si estende anche all’estero. Da non sottovalutare sono anche gli aspetti economici che in alcuni casi determinano costi elevati se si aggiungono ai costi vivi della formazione anche quelli derivanti dalle trasferte e dai tempi di assenza dal lavoro. Sono considerazioni, queste, da tenere ben presente in fase di definizione degli obblighi da porre a carico dei datori di lavoro, sia pubblici che privati, in un periodo di grande recessione la cui fine appare ancora lontana. 2. Formazione in modalità e-learning Proprio per risolvere in parte alcune di queste problematiche l’ultimo accordo, per alcuni specifici percorsi formativi, ha previsto la modalità di erogazione secondo le metodologie di e-learning che utilizzino la tecnologia Scorm [1]. Tale metodo di apprendimento, in italiano definito “teledidattica”, si caratterizza da una relazione uno-a-uno tra il discente e lo strumento tecnologico a disposizione e da una libertà di utilizzo relativamente ad orari e sessioni di apprendimento. Il componente base della teledidattica è la piattaforma tecnologica ( Learning Management System o LMS) che gestisce la distribuzione e la fruizione della formazione: si tratta infatti di un sistema gestionale che permette di tracciare la frequenza ai corsi e le attività formative dell'utente (accesso ai contenuti, tempo di fruizione, risultati dei momenti valutativi,...). Tutte le informazioni sui corsi e gli utenti restano indicizzate e memorizzate nel database della piattaforma: questa caratteristica permette all'utente di accedere alla propria offerta formativa realmente da qualsiasi computer collegato a Internet, generalmente senza la necessità di scaricare software ad hoc dal lato del client. L'utente è insomma in questo caso totalmente delocalizzato e in virtù di ciò più semplice risulta il suo accesso al proprio percorso formativo modellizzato sul server, secondo la filosofia anywhere/anytime, ovunque e in qualsiasi momento. I sistemi di tracciamento e controllo permettono, peraltro, di tenere sotto controllo in maniera stringente l’andamento del percorso formativo ma, evidentemente, il rapporto tra discente e tutor è informale e asincrono in quanto basato su sistemi di mailing e/o di chat che non necessariamente sono in tempo reale. Peraltro è un rapporto non invasivo in quanto si realizza solo a seguito di criticità o difficoltà che il discente possa incontrare durante la fruizione del corso che, per sua natura, non ha una determinazione in termini di periodi definiti di fruizione 3. Formazione tramite Aule Virtuali in modalità webinar Ciò nonostante, pur apprezzando tale metodo di apprendimento, da parte di diverse aziende si stanno proponendo altri strumenti e metodologie di formazione, anch’esse basate sull’Information Tecnology. Tali richieste pervengono da quelle aziende che hanno una struttura organizzativa ampiamente diffusa sul territorio e che dispongono di numerose risorse umane adibite a professioni ed incarichi che si contraddistinguono per una alta mobilità ed un quasi assente impiego in uffici con attrezzature informatiche. Tale tipologia di personale mal si adatta, per alto numero e tipologia di impiego, a frequentare percorsi formativi sia in aule univoche che per mezzo di metodologie e-learning. Alcune aziende che hanno sottoposto alla nostra attenzione tali problematiche contano in organico un alto numero di personale (5.000/10.000 dipendenti) per lo più dislocato in sedi distribuite su tutto il territorio nazionale e, alcune, anche all’estero. Nel corso dell’analisi del problema si è prospettata da parte di queste aziende l’ipotesi di ricorrere allo strumento dell’Aula Virtuale tramite webinar [2] quale mezzo per superare le criticità esposte. La filosofia di base di tale strumento formativo è quello di creare in remoto delle aule basate sul web e sulla trasmissione dati in “real time” in modo da creare una relazione didattica “uno-a-molti” tra il docente e i discenti. Le moderne tecnologie di trasmissione dati e l’aumento della loro velocità di trasferimento hanno permesso di mettere a punto sistemi di gestione della didattica a distanza tramite appunto le cosiddette “Aule Virtuali”. L'aula virtuale (o ambiente collaborativo) è la metodologia didattica che permette l'interazione (in modalità sincrona) fra gli utenti: si tratta infatti di strumenti che favoriscono la comunicazione immediata tramite chat, lavagne condivise (interactive whiteboards) e videoconferenza e così via. I software per la gestione di ambienti collaborativi possono gestire anche forum di discussione, document repository, accesso ai materiali didattici o a materiali di supporto anche secondo tempistiche asincrone che riescono a mettere a disposizione dei discenti la possibilità di rivedere successivamente documenti e filmati. Tale metodologia permette di erogare i corsi di formazione in ambiente altamente controllato dal docente sia visivamente che tramite interazioni in “real time” via web con i discenti facenti parte l’aula virtuale. Il vantaggio dal punto di vista didattico e metodologico di tale modalità formativa è l’immediatezza del rapporto docente-discente, peraltro non sempre garantito dalla modalità e-learning, che ripropone in modo virtuale la relazione che normalmente si crea in una aula tradizionale. Intuitivi sono i vantaggi per quelle aziende che, per numero e dislocazione delle risorse umane sul territorio, riscontrerebbero grosse difficoltà di gestione dei percorsi formativi e che dovrebbero affrontare elevati e gravosi costi di missione uniti ad una anomala perdita di ore lavorate in quanto impiegate in trasferimenti tra luogo di lavoro e sede dei corsi. Sono naturalmente da individuare gli specifici ambiti e gli argomenti per i quali consentire, come del resto già previsto per l’e-learning, l’utilizzo di questa modalità di formazione che, comunque, è certamente più flessibile della modalità e-learning. 4. Creazione e gestione di un’aula virtuale (video-conferenza tramite webinar) La realizzazione di un corso di formazione tramite l’utilizzo di aule virtuali dovrà avere i seguenti requisiti di base: 1. ogni sede del corso in remoto, collegato con l’aula principale in video conferenza, dovrà essere presidiata da un tutor adeguatamente preparato; 2. il collegamento in VIDEOCONFERENZA (Real-Time) si realizzerà tramite sistemi esperti di videoconferenza su piattaforma digitale e avverrà in modo bi-univoco e controllato tra una o più sedi remote collegate con la sede principale di erogazione del corso in cui sarà presente il docente; 3. il docente dovrà avere la possibilità di verificare la presenza dei discenti (tramite VIDEO e sistemi telematici) per tutta la durata delle singole sessioni del corso; 4. le verifiche intermedie e l’esame finale potranno essere effettuati a seguito delle autorizzazioni e credenziali rilasciate dal docente tramite la collaborazione dei singoli tutor presenti nelle sedi collegate oppure direttamente in Videoconferenza. 5. i documenti cartacei (esame + verbale) potranno essere acquisiti elettronicamente mediante scanner ed inviati immediatamente al termine dell’esame. In seguito: a. gli originali verranno inviati successivamente dalla sede delocalizzata direttamente alla sede del centro di formazione responsabile del progetto formativo per l’archiviazione così come richiesto dal sistema di gestione della qualità; b. il controllo degli errori verrà effettuato direttamente in collaborazione con il tutor al termine dell’esame; 6. al termine delle correzioni dei singoli test di verifica dell’efficacia dell’apprendimento il docente e la commissione d’esame, eventualmente nominata, potrà autorizzare la spedizione degli attestati. 6. Conclusioni Appare evidente come le modalità di erogazione di corsi di formazione tramite metodologie informatiche sono tipicamente il frutto del vantaggio tecnologico che l’Infomation Tecnology riesce a dare contribuendo ad una economia di scala delle risorse, sia umane che finanziarie, oggi particolarmente sentita dalle aziende. Pur non sottovalutando l’impegno organizzativo e tecnologico da garantire per una efficace riuscita dei corsi proposti secondo tali modalità, è evidente la necessità di ricorrervi allorché la platea dei discenti diventa elevata per numero e distribuita su una ampia parte del territorio, sia nazionale che estero. Pur rimanendo l’aula il luogo preferenziale per l’erogazione di corsi di formazione, non si può disconoscere l’esigenza ripetutamente rappresentata da più parti di utilizzare per alcuni e selezionati argomenti le nuove tecnologie e metodologie offerte dalla moderna Information Tecnology in considerazione dell’esigenza di abbattere i costi pur coinvolgendo un elevato numero di discenti. Tale esigenza, naturalmente, non può pretendere di basarsi sugli stessi principi e utilizzare le stesse modalità in uso nelle aule. Anche il rapporto docente/discente non può essere ricondotto a quello utilizzato per le lezioni frontali. In relazione a questo aspetto si deve onestamente riconoscere che a volte il rapporto che si instaura tra discente ed e-tutor/docente può risultare più efficace in quanto si vengono a superare alcune inibizioni che talvolta in aula bloccano la relazione tra i soggetti, specialmente se trattasi di aule di lavoratori. Gli stessi forum, normalmente inseriti all’interno delle piattaforme tecnologiche a supporto delle metodologie di formazione a distanza, facilitano l’interscambio e l’integrazione di opinioni tra i partecipanti anche in quanto sono strumenti divenuti ormai frendly per gran parte dei lavoratori che nel privato utilizzano mezzi di comunicazione basati su tecnologia internet e mobile. È necessario creare modelli e schemi organizzativi innovativi ed evoluti tali che i vantaggi che si possono ottenere utilizzando le potenzialità della Information Tecnology e della rete non vengano vanificati da una mera e miope riproposizione delle vecchie e desuete metodologie d’aula. A tale proposito si deve sottolineare come l’utilizzo di metodologie formative basate sulle e-learning e sul webinar presuppone che i contenuti didattici vengano ri-progettati e sviluppati ad hoc. Programmi, contenuti e metodologie pensate per l’aula non potranno essere semplicemente “riciclati” e somministrati tramite formazione a distanza. Gli stessi docenti ed e-tutor dovranno essere adeguatamente “formati” ed “addestrati” al loro utilizzo per garantirne l’efficacia formativa. Interpretare al meglio le potenzialità offerte dall’Information Tecnology nel campo dell’apprendimento può aiutare il nostro paese e il sistema economico a superare il “digital divide” ancora troppo alto per consentire all’Italia di potersi allineare ai paesi tecnologicamente più avanzati. Per colmare tale “divide” sarà necessario accompagnare gli investimenti in tecnologia con quelli in formazione finalizzati a superare in tutti, classe dirigente e grande pubblico, la preclusione verso tecniche e modelli di apprendimento che utilizzino appunto gli strumenti dell’Information Tecnology. Francesco Naviglio, Segretario generale AiFOS, sociologo dell’organizzazione.
Read More...

11 luglio 2012

Buone prassi in materia di salute e sicurezza sul lavoro

Finalizzate a promuovere la salute e sicurezza sui luoghi di lavoro le buone prassi costituiscono soluzioni organizzative e procedurali adottate a seguito di una scelta volontaria da parte di soggetti pubblici e privati ed in coerenza con la normativa vigente e con le norme di buona tecnica. Il Testo unico di salute e sicurezza sul lavoro (Decreto Legislativo 9 aprile 2008, n. 81 e s.m.i.) nel valorizzare l’adozione di buone prassi in materia, ha assegnato alla Commissione consultiva permanente per la salute e la sicurezza sul lavoro il compito di procedere alla loro validazione (art. 6, comma 8, lett. d) del D.Lgs. n.81/2008) e di assicurarne la massima diffusione (art. 2, comma 1, lett.v), D.Lgs. n.81/2008). Nella seduta del 4 luglio 2012 la Commissione consultiva permanente per la salute e la sicurezza sul lavoro ha proceduto alla validazione delle seguenti buone prassi: - Realizzazione di una piattaforma rialzabile in zona poppiera in un peschereccio con attrezzi a bocca fissa detti “rapidi”; - Realizzazione di un peschereccio nuovo con attrezzi a bocca fissa detti “rapidi” con riprogettazione di tutta la linea produttiva”; - Realizzazione di due vasche di raccolta (baie) del pescato in zona poppiera su un peschereccio al traino con rete “volante”; - La Buona Pratica di Casole d’Elsa per la promozione della salute e della sicurezza sul lavoro nei cantieri edili. fonte: Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali
Read More...

I dati INAIL degli infortuni sul lavoro nel 2011

L’Inail ha diffuso i dati degli infortuni sul lavoro nel 2011: gli infortuni sono stati 725.174 (-6,6%), 920 i casi mortali (-5,4%%). Bilancio positivo nel Rapporto annuale INAIL. Rispetto al 2010 sono pervenute 51mila denunce in meno e da due anni il numero dei decessi è ben al di sotto dei mille casi. La flessione è generalizzata in tutti i settori di attività e solo l'1,6% è legato agli effetti della crisi economica L’INAIL, conferma l'andamento decrescente degli infortuni sul lavoro in Italia. Secondo le rilevazioni effettuate dall' INAIL al 31 marzo 2012, lo scorso anno sono stati 725.174 gli infortuni denunciati all'Istituto, per un calo del 6,6% rispetto ai 776.099 del 2010. In flessione del 5,4% anche i casi mortali, passati da 973 a 920. In generale, dunque, rispetto al 2010 si sono verificati 51mila infortuni in meno e da due anni il numero dei decessi rimane ben al di sotto dei mille casi. Calo del 7,1% per gli infortuni in itinere. La diminuzione del 6,6% del totale degli infortuni è una media del calo che ha riguardato sia gli infortuni in occasione di lavoro (i casi che avvengono nell'esercizio effettivo dell'attività) che quelli in itinere (che accadono al di fuori del luogo di lavoro, durante il percorso casa/lavoro/casa). Gli infortuni avvenuti in occasione di lavoro - che rappresentano circa il 90% del complesso delle denunce - sono passati da 687.970 casi del 2010 a 643.313 nel 2011, con un decremento del 6,5%. Una contrazione maggiore (-7,1%) ha interessato quelli in itinere, scesi da 88.129 casi del 2010 a 81.861 nel 2011. Tra gli infortuni in occasione di lavoro vanno segnalati quelli occorsi ai lavoratori che operano sulla strada (autotrasportatori merci e persone, rappresentanti di commercio, addetti alla manutenzione stradale, ecc.), che dopo alcuni anni di costante aumento, segnano una flessione dell'8,4% (da 54.601 a 50.028 casi). Casi mortali: -8,6% per quelli in occasione di lavoro. Per quanto riguarda i casi mortali la differenza tra le due modalità di evento è più forte: il calo del 5,4% è influenzato esclusivamente dagli infortuni in occasione di lavoro (-8,6%), che scendono da 744 a 680. Gli infortuni mortali in itinere, al contrario, con 240 casi (erano 229 nel 2010) hanno visto un sensibile aumento in termini percentuali (+4,8%). "Al netto" della crisi la flessione generale scende al 5%. Se, a livello medio generale, già nel 2010 la crisi economica aveva influito in modo parziale sulla riduzione degli infortuni in termini reali, nel 2011 questi effetti sembrano essere ancora più contenuti. Nel complesso, sulla base di elaborazioni effettuate sui dati Istat disponibili (andamento occupazionale, unità di lavoro anno, ore lavorate per dipendente) e su informazioni rilevate dagli archivi delle Comunicazioni obbligatorie, dell'Agenzia delle entrate e della platea degli assicurati INAIL, si è stimato che - malgrado una forte variabilità a livello territoriale, settoriale e di dimensione aziendale - il calo "reale" degli infortuni sul lavoro al netto dell'effetto perdita di quantità di lavoro svolto per alcuni settori ad alto rischio infortunistico si possa stimare intorno al -5% (rispetto al complessivo -6,6%) per gli infortuni in generale e al -4% (rispetto al complessivo -5,4%) per quelli mortali. Tali riduzioni sono quelle da attribuire, dunque, all'effettivo miglioramento dei livelli di rischio in atto ormai da molti anni nel nostro Paese. alo più sostenuto nell' Industria(-6,6%). Per quanto riguarda i settori di attività, il 90% degli infortuni del 2011 si concentra nella gestione assicurativa Industria e servizi, il 6% in Agricoltura e il restante 4% tra i Dipendenti del conto Stato. La riduzione degli infortuni ha caratterizzato tutte le gestioni. Il calo più sostenuto è quello dell'Industria e servizi (-6,6%), seguito subito dopo dall'Agricoltura (-6,5%). Anche per i Dipendenti del conto Stato si registra una flessione del 5,8%, che si contrappone ai continui aumenti registrati negli ultimi anni. Per i casi mortali il maggior decremento percentuale si registra nella gestione Dipendenti conto Stato (-18,8, da 16 a 13 casi), seguita dall'Industria e Servizi (-6,3%, da 845 a 792 casi), mentre l'Agricoltura segna un +2,7% (da 112 a 115 casi). Lavoratori "in nero": si stimano altri 165mila infortuni. In questi dati non rientrano gli infortuni di cui l'INAIL non viene a conoscenza in quanto occorsi ai cosiddetti lavoratori "in nero", per i quali - a parte quelli più gravi o mortali (che rappresentano, comunque, la minoranza) - la mancata notifica è quasi scontata a causa dell'irregolarità del rapporto di lavoro. Gli infortuni che riguardano tali lavoratori vengono periodicamente stimati dall'Istituto, partendo dai dati Istat e utilizzando i propri indicatori di rischio con opportuni fattori correttivi. Avendo l'Istat stimato nel 2010 in quasi 3 milioni le unità di lavoro "in nero", è possibile ritenere che gli infortuni "invisibili" siano circa 164.000. Si tratta di infortuni che rientrano, per lo più, in un range di gravità medio-lieve e che confermano una sostanziale stabilità rispetto alla stima dell'anno precedente (circa 165.000 casi) e una sensibile riduzione rispetto a quella del 2006 (circa 175.000 casi). Casi mortali: aumentano le donne. Nel 2011 il calo infortunistico ha interessato, in complesso, sia i lavoratori (-7,0%) che le lavoratrici (-5,6%). Il calo complessivo degli infortuni mortali (- 5,4%) è, invece, influenzato esclusivamente dai lavoratori uomini (-7,3% rispetto al 2010). Le lavoratrici, viceversa, hanno conosciuto un sensibile aumento dei decessi (+15,4%, passando dai 78 casi del 2010 ai 90 del 2011). Tale aumento è dovuto prevalentemente ai casi in itinere, che rappresentano più della metà dei decessi femminili. Tenendo conto che le donne rappresentano circa il 40% degli occupati, che la quota di infortuni femminili rispetto al totale è del 32% e quasi il 10% per i casi mortali, si deduce che il lavoro femminile è sicuramente meno rischioso. Le donne, infatti, sono occupate prevalentemente nei servizi e in settori a bassa pericolosità e - se impegnate in comparti più rischiosi come le costruzioni, i trasporti e l'industria pesante - svolgono comunque mansioni di tipo impiegatizio o dirigenziale. Diminuiscono gli infortuni tra i lavoratori stranieri. Gli infortuni che hanno interessato i lavoratori stranieri sono passati dai 119.396 del 2010 ai 115.661 del 2011, per un calo del -3,1%. I casi mortali sono in lieve flessione (138 casi contro 141) e confermano il trend decrescente del fenomeno. Nel 2011 sono stati circa 3 milioni i lavoratori stranieri assicurati all'INAIL, l'1,3% in più dell'anno precedente e ben il 17,8% in più del 2007: una crescita dovuta non solo a un numero maggiore di assunzioni, ma soprattutto alla regolarizzazione dei contratti di badanti e colf. Gli infortuni degli stranieri rappresentano il 15,9% degli infortuni complessivi, quelli dei soli extracomunitari, invece, l'11,7%. Se si considerano i casi mortali le percentuali sono rispettivamente del 15% e dell' 8,8%. Età: la fascia 35/49 è la più colpita. Relativamente all'età degli infortunati, tutte le fasce di età hanno registrato nel 2011 un decremento infortunistico. La fascia d'età 35/49 risulta la più colpita in valore assoluto con il 44% di tutti gli infortuni. A distinguersi per la contrazione dei casi mortali risulta la fascia di età sotto i 35 anni (-23,2%), a fronte di un calo degli occupati (-3,2%). A seguire la fascia di età degli ultra 65enni (-8,3%) e quella dei 35-49 (-6,2%), mentre si rileva un discreto aumento per la classe 50-64 anni (+6,7%). Forte calo degli incidenti nel Sud. Il calo registrato a livello nazionale (-6,6% tra il 2010 e il 2011) ha interessato tutte le aree del Paese, in maniera crescente dal Nord al Sud (dal -6,1% del Nord-Ovest al -8,1% del Mezzogiorno, passando per il -6,2% del Nord-Est e il -6,4% del Centro). Nel Nord trattandosi - il territorio a maggiore densità occupazionale (52% degli occupati nazionali nel 2011) - continua a concentrarsi oltre il 60% degli infortuni. La diminuzione del 5,4% delle morti sul lavoro è il risultato del forte calo nel Mezzogiorno (-14,9%, 48 vittime in meno), nel Nord-Ovest (-2,2%) e nel Centro (-0,5%), mentre il Nord-Est è praticamente stazionario (226 morti). In Molise e Campania le flessioni più forti a livello regionale. Praticamente quasi tutte le Regioni vedono contrarsi il fenomeno infortunistico con risultati più significativi in Molise (-12,5%), Campania (-11,1%), Umbria (-10,4%) e Basilicata (-10,2). Le regioni con maggior numero di denunce di infortunio si confermano Lombardia (127.007 casi), Emilia Romagna (99.713) e Veneto (81.217): tre aree che, da sole, concentrano il 42% dell'intero fenomeno. Malattie professionali: continua l'emersione. Nel 2011 aumentano ancora le denunce di malattie professionali, passando dalle 42.465 del 2010 a 46.558: 4mila in più in un anno (+9,6%) e oltre 17mila in più rispetto al 2007 (va segnalato, tuttavia, un certo contenimento rispetto al +21,7% registrato lo scorso anno). Come spesso sottolineato dall'INAIL, questi record traggono, senz'altro, prevalente fondamento nelle attività intraprese e nelle novità legislative introdotte in materia nel corso degli ultimi anni, che hanno particolarmente intensificato le attività di informazione/formazione e prevenzione (anche da parte dell'INAIL) e gli approfondimenti divulgativi. La sensibilizzazione dei datori di lavoro, dei lavoratori, dei medici di famiglia e dei patronati, inoltre, ha sicuramente dato innesco all'emersione di queste malattie "perdute", attenuando lo storico fenomeno di sottodenuncia (dovuto sia ai lunghi periodi di latenza di alcune patologie che alla difficoltà di dimostrarne il nesso causale con l'attività lavorativa svolta). Boom delle malattie osteo-articolari e muscolo-tendinee. Le malattie osteo-articolari e muscolo-tendinee - dovute prevalentemente a sovraccarico bio-meccanico e movimenti ripetuti - con quasi 31mila denunce costituiscono (come osservato negli ultimi anni) la patologia più frequente e, di fatto, l'unica vera causa del "boom". La loro incidenza sul totale è sistematicamente cresciuta passando, anno dopo anno, dal 40% del 2007 al 66% del 2011. I tumori professionali sono la prima causa di morte per malattia tra i lavoratori.
Read More...

Valutazione e misura del rischio da sovraccarico biomeccanico

il sovraccarico biomeccanicosi può definire come la “condizione che si verifica quando le sollecitazioni meccaniche statiche o dinamiche esterne superano la capacità di resistenza di articolazioni, muscoli e tendini, in modo acuto (traumi/ infortuni da sforzo) o determinando microtraumi che si ripetono nel tempo con effetto cumulativo (Patologie Muscolo Scheletriche)” I fattori che possono determinare sovraccarico biomeccanico riguardo ad esempio degli arti superiori (sbas)sono: - “ripetitività: movimenti sempre uguali a stessi ripetuti a lungo/ lavoro a cicli; - frequenza: alta frequenza di gesti in ogni minuto di lavoro”; - “forza: uso di forza elevata con gli arti superiori; - postura: posizioni scorrette del polso, del gomito, delle spalle o movimenti articolari estremi”; - “periodi di recupero: mancanza di pause o rotazione su lavori senza impegno degli arti superiori; - fattori complementari: maneggiare oggetti molto freddi; vibrazioni; compressioni sulle mani durante l’uso di attrezzi; uso di guanti inadeguati; frequente uso di martello per dare colpi”. Inoltre i compiti /condizioni a rischio di sovraccarico biomeccanico per la schiena o gli arti superiori sono: - movimentazione manuale di carichi (azioni di sollevamento/deposito, trasporto in piano e azioni di traino e spinta); - movimentazione di pazienti; - movimentazione di bassi carichi ad alta frequenza/movimenti e sforzi ripetuti; - posture incongrue/disergonomie. É possibile misurare il sovraccarico biomeccanico? Poiché il sovraccarico biomeccanico (S.B.) “è la risultante di tanti ‘determinanti di rischio’, non può quindi essere ‘misurato’ come altri rischi (es. rumore con il fonometro o gli agenti chimici con analisi di campioni di aria)”, Dunque sono “stati messi a punto vari metodi in grado di determinare e quantificare il rischio da S.B., basati sull’identificazione e analisi dei vari fattori che lo determinano, sullo studio della relazione dose-risposta e della percentuale di casi attesi. La legge italiana non indica un metodo d’elezione”. Se non è indicato un metodo di elezione, comunque “le Norme Tecniche, le Linee Guida, la letteratura scientifica indicano alcuni metodi per la ‘misura’ del rischio da S.B.”. Bisogna tuttavia verificare che: - “siano metodiche validate; - siano idonee ad essere applicate alla situazione in esame; - tengano conto in maniera integrata di tutti i ‘determinanti’ di rischio (o almeno di gran parte di essi); - nel caso di sbas considerino tutti i distretti coinvolti (spalla, gomito e polso)”. Tiziano Menduto
Read More...

decreto 81: gli obblighi del noleggiatore di attrezzature

Quesito Nel caso in cui un cittadino privato prenda a noleggio una di quelle attrezzature per la conduzione delle quali l’ultimo accordo del 22/2/2012 prevede una specifica abilitazione è tenuto il noleggiatore ai sensi del D. Lgs. n. 81/2008 ad assicurarsi che chi la prende a noleggio sia abilitato? Risposta Oggetto del quesito è l’applicazione dell’art. 72 del D. Lgs. n. 81/2008 sugli obblighi di chi noleggia e di chi concede in uso attrezzature di lavoro. Secondo tale articolo, infatti: “1. Chiunque venda, noleggi o conceda in uso o locazione finanziaria macchine, apparecchi o utensili costruiti o messi in servizio al di fuori della disciplina di cui all'articolo 70, comma 1, attesta, sotto la propria responsabilità, che le stesse siano conformi, al momento della consegna a chi acquisti, riceva in uso, noleggio o locazione finanziaria, ai requisiti di sicurezza di cui all’allegato V. 2. Chiunque noleggi o conceda in uso attrezzature di lavoro senza operatore deve, al momento della cessione, attestarne il buono stato di conservazione, manutenzione ed efficienza a fini di sicurezza. Dovrà altresì acquisire e conservare agli atti per tutta la durata del noleggio o della concessione dell'attrezzatura una dichiarazione del datore di lavoro che riporti l'indicazione del lavoratore o dei lavoratori incaricati del loro uso, i quali devono risultare formati conformemente alle disposizioni del presente titolo e, ove si tratti di attrezzature di cui all’articolo 73, comma 5, siano in possesso della specifica abilitazione ivi prevista”. Il comma 2 sopra riportato è quello che si legge nel D. Lgs. n. 81/2008, così come modificato dal D. Lgs. n. 106/2009. Nel testo originario, invece, era indicato che: “2. Chiunque noleggi o conceda in uso ad un datore di lavoro attrezzature di lavoro senza conduttore deve, al momento della cessione, attestarne il buono stato di conservazione, manutenzione ed efficienza a fini di sicurezza. Dovrà altresì acquisire e conservare agli atti per tutta la durata del noleggio o della concessione dell'attrezzatura una dichiarazione del datore di lavoro che riporti l'indicazione del lavoratore o dei lavoratori incaricati del loro uso, i quali devono risultare formati conformemente alle disposizioni del presente titolo”. Dal confronto dei due testi del comma 2 dell’articolo 72, quello originario e quello modificato, è possibile osservare che con la modifica è stata abolita l’espressione “ad un datore di lavoro”, quale destinatario del noleggio o della concessione in uso, ed è stato inoltre sostituito il termine “conduttore” con il termine “operatore” ed aggiunto altresì, alla fine del comma, l’espressione “e, ove si tratti di attrezzature di cui all’articolo 73, comma 5, siano in possesso della specifica abilitazione ivi prevista”. Le attrezzature di cui all’articolo 73 comma 5 citate nel comma 2 dell’articolo 72 per le quali è richiesta la specifica abilitazione sono state individuate, così come richiesto dal legislatore, dalla Conferenza Stato Regioni nel recente accordo raggiunto il 22/2/2012, pubblicato sulla G. U. del 12/3/2012 e che entrerà in vigore il 12/3/2013. Tali attrezzature sono riportate nell’Allegato A Sezione A punto 1.1 dell’Accordo stesso e sono, per la precisione, le piattaforme di lavoro mobili elevabili, le gru a torre, le gru mobili, le gru per autocarro, i carrelli elevatori semoventi con conducente a bordo, i trattori agricoli o forestali, le macchine movimento terra e le pompe per calcestruzzo. Ora dall’esame dell’articolo 72 del D. Lgs. n. 81/2008 e s.m.i. emerge che, mentre le disposizioni poste a carico dei noleggiatori e dei concedenti in uso, che si riferiscono all’attestazione del buono stato di conservazione manutenzione ed efficienza a fini della sicurezza delle attrezzature e da rilasciare allorquando gli stessi le noleggino e le concedano in uso, si applicano, secondo quanto chiaramente emerge dalla lettura della modifica apportata dal D. Lgs. n. 106/2009, qualunque sia il soggetto al quale tali attrezzature vengano noleggiate o concesse in uso, l’obbligo invece dell’acquisizione e della conservazione agli atti, per tutta la durata del noleggio e della concessione, della dichiarazione che riporti l'indicazione del lavoratore o dei lavoratori incaricati dell’uso delle attrezzature, i quali devono essere stati formati conformemente alle disposizioni del D. Lgs. n. 81/2008 e, ove si tratti di attrezzature di cui all’articolo 73 comma 5, devono essere in possesso della specifica abilitazione prevista dallo stesso D. Lgs., scatta solo se a prendere a noleggio o in concessione le attrezzature stesse siano dei datori di lavoro. Quindi, in risposta al quesito formulato, se un privato cittadino prende a noleggio una di tali attrezzature non è tenuto, per quanto è possibile leggere nell’articolo 72, a dimostrare il possesso dell’abilitazione per operare su quella attrezzatura. Ciò non toglie che il noleggiatore possa, per sua cautela ed indipendentemente dagli adempimenti del D. Lgs n. 81/2008 e s.m.i., ritenere ugualmente opportuno acquisire dal privato cittadino una attestazione di abilitazione e subordinare quindi il noleggio o la concessione in uso a tale acquisizione. A chi sostiene, poi, che l’Accordo del 22/2/2012 quando parla di abilitazione alla conduzione delle attrezzature fa riferimento agli operatori e non ai lavoratori, lasciando così intendere che fra gli operatori possa farsi rientrare anche il privato cittadino che si appresta a condurre tali attrezzature, c’è da fare osservare che l’Accordo sulla formazione degli operatori addetti alla conduzione di attrezzature di lavoro particolari è esplicitamente richiamato dal D. Lgs. n. 81/2008 e come tale trova applicazione nel campo del lavoro e non può quindi che riferirsi ai conduttori di tali attrezzature in qualità di lavoratori, così come del resto è possibile leggere nell’articolo 72 comma 2 quando lo stesso legislatore fa richiesta ai datori di lavoro di indicare il nominativo dei lavoratori e di accertarsi del possesso da parte loro dei necessari requisiti di abilitazione. Diversa è la situazione nel caso in cui il soggetto che prende a noleggio o in concessione una attrezzatura che richiede l’abilitazione sia un lavoratore autonomo in quanto, applicandosi l’Accordo sopraindicato, così come si legge nel primo comma dell’Allegato A dello stesso Accordo, anche ai soggetti di cui all’art. 21 del D. Lgs. n. 81/2008 e quindi anche ai lavoratori autonomi, chi noleggia o concede in uso ad un lavoratore autonomo tali attrezzature sarà ugualmente tenuto all’acquisizione della documentazione attestante la loro abilitazione in assenza della quale non potrà noleggiare o concedere in uso le attrezzature stesse. ( www.porreca.it)
Read More...