27 novembre 2013

Imparare dagli errori: i rischi e la prevenzione nell’uso dei pesticidi

Una ricerca presentata al 74° Congresso SIMLII mostra gli effetti dei pesticidi sulla fertilità e sulla funzionalità tiroidea. Buone pratiche per limitare al minimo i rischi di intossicazione dell’operatore e i rischi di inquinamento dell’ambiente.

 Quello dell’uso dei pesticidi, dei fitofarmaci, in agricoltura è un tema che si ricollega sia alla prevenzione dei rischi in un comparto, quello agricolo, non carente di pericoli per i lavoratori, sia al tema della tutela della salute dei lavoratori immigrati. Lavoratori che, come la cronaca ricorda, sono spesso utilizzati come braccianti nei campi in condizioni proibitive e con scarsa attenzione alla sicurezza.

Riprendiamo il tema con una puntata di “Imparare dagli errori”, dedicata in questo caso alle malattie professionali. E lo facciamo riprendendo i contenuti di una ricerca presentata al 74° Congresso Nazionale SIMLII e pubblicata sul secondo supplemento del numero di luglio-settembre 2011 del Giornale Italiano di Medicina del Lavoro ed Ergonomia.

Nel poster congressuale “Effetti dei pesticidi sulla fertilità e sulla funzionalità tiroidea” – a cura di M. Barbaro, M.A. Tringali, L. Miceli, S. Gangemi, A. De Luca, C. Alibrando, F. Schembri, M. Ceruso, G. Trimarchi, C. Abbate – si sottolinea che i pesticidi sono “sostanze chimiche largamente utilizzate in agricoltura, in grado di produrre effetti avversi sulla salute umana, quali disturbi della funzionalità tiroidea, alterazioni dello sviluppo e della funzionalità degli apparati riproduttivi maschile e femminile, aumentata incidenza di patologie neoplastiche, abortività precoce”.

Lo scopo della ricerca presentata nel poster è quello di “valutare la correlazione tra alterazioni della fertilità e della funzionalità tiroidea ed esposizione lavorativa a pesticidi”.
Il campione è costituito da 63 soggetti, tutti di sesso femminile, con età media di 44 anni, che “lavorano in serre ubicate nella provincia di Messina, esposti a pesticidi (benomyl, maneb, mancozeb). A tutte le lavoratrici è stato somministrato, con modalità autocompilativa, un questionario riguardante i dati anagrafici (età, comune di residenza, stato civile), le abitudini di vita (fumo, alimentazione, sport), le abitudini lavorative (anzianità lavorativa, sostanze utilizzate) e lo stato di salute, con particolare riguardo per la presenza di patologie tiroidee e di alterazioni della riproduttività (numero di aborti spontanei)”.
In conclusione la ricerca, attraverso “l’analisi dei dati ottenuti dalla valutazione dei questionari somministrati con modalità auto compilativa” ha evidenziato una “notevole percentuale di lavoratrici con alterazioni della funzionalità tiroidea e con pregressi aborti spontanei, che, pertanto, potrebbero essere giustificati dall’ esposizione occupazionale a pesticidi”.
Ad esempio dall’analisi del campione è risultato che il 19% del campione esposto ai pesticidi (12 lavoratrici su 63) risulta affetto da gozzo multinodulare ed il 50% di questo ha avuto un aborto spontaneo.

La prevenzione
Sui problemi correlati all’uso in sicurezza dei fitofarmaci e ai rischi correlati in ambito professionale, PuntoSicuro si è soffermato in passato con diversi articoli.

Riprendiamo ad esempio alcune indicazioni già presentate e relative al manuale “ Sicurezza in agricoltura e utilizzazione dei prodotti fitosanitari” - prodotto dall’ Azienda Unità Sanitaria Locale di Latina, dall’Assessorato alla Sanità e dall’Assessorato all’Agricoltura della Regione Lazio - rivolto ai formatori dei corsi che gli agricoltori seguono per ottenere il rilascio del “patentino” per l’utilizzo di fitosanitari.

Vengono presentate alcune norme comportamentali che possono limitare al minimo i rischi di intossicazione dell’operatore e i rischi di inquinamento dell’ambiente. Sono regole che “vanno seguite sempre, anche quando una determinata operazione non presenta apparentemente pericoli; in particolare è indispensabile porre molta attenzione se si opera in ambienti chiusi (serre, magazzini), in quanto la dispersione delle sostanze tossiche è più lenta che all’aperto e la possibilità di intossicazione più elevata”.

Queste alcuni suggerimenti:
- “non trattare in presenza di vento e comunque disporsi sempre sopra vento e non trattare nelle ore più calde;
- non effettuare la distribuzione della miscela fitoiatrica con l’irroratrice ferma;
- non trattare durante il periodo della fioritura con insetticidi, acaricidi o PF (prodotti fitosanitari, ndr) dichiarati, in etichetta, tossici per le api e per gli insetti pronubi (gli insetti impollinatori, ndr) in genere;
-  accertarsi che sul campo non stazionano animali o persone”.
 Inoltre:
-  “prima di eseguire qualsiasi trattamento su colture arboree è bene verificare che non siano presenti erbe spontanee sottostanti in piena fioritura; in questi casi è bene falciare le erbe prima di effettuare il trattamento;
-  non trattare nelle ‘aree di rispetto’ relative a punti di prelievo di acque destinate al consumo umano (per legge non trattare entro un raggio di 200 metri);
-  rispettare le distanze dai corpi idrici prescritte in alcune etichette di PF; in genere almeno 10 metri di distanza da qualsiasi corpo idrico (es. fiumi, laghi e fossi)”.

Durante il trattamento è necessario:
- “se si effettuano trattamenti nelle vicinanze di abitazioni, strade e colture confinanti, verificare che la nube irrorante non esca dall’appezzamento trattato”: in particolare è necessario “tenere conto che, anche nelle condizioni climatiche ideali, si verifica sempre una certa ‘deriva’ (nube antiparassitaria che deborda di 5-10 metri dall’appezzamento) e, pertanto, in prossimità di colture la cui produzione è destinata all’alimentazione umana (fruttiferi, fragole, ortaggi, ecc.) o a quella animale (medicai, prati, ecc.), è consigliabile irrorare i due filari esterni solamente verso l’interno dell’impianto. In questo modo si evita, o perlomeno si riduce al minimo, la deriva e le conseguenze negative connesse (fitotossicità, raccolta ritardata, residui tossici superiori ai limiti di legge);
- “farsi aiutare solo da personale munito di patentino nel caso di prodotti molto tossici, tossici o nocivi;
- durante tutte le operazioni sopra descritte è assolutamente vietato fumare, mangiare, bere e portare qualsiasi oggetto alla bocca”.

Altri comportamenti corretti che possono portare ad una riduzione del rischio:
- “leggere attentamente le etichette e le schede di sicurezza di tutti i prodotti chimici utilizzati;
- segregare i prodotti fitosanitari in luoghi dove l’accesso è garantito solamente a personale qualificato;
- allontanare dall’area da trattare persone e animali;
- utilizzare i dispositivi di protezione individuale;
- effettuare le operazioni di trattamento quando il vento spira in maniera tale che la nube non investa l’operatore;
- effettuare le operazioni rispettando sempre il tempo di rientro, ossia il tempo che deve trascorrere tra l’ultimo trattamento e il diradamento, la potatura ecc.;
- durante i trattamenti, non mangiare, fumare e bere, eseguire correttamente le operazioni di pulizia degli ugelli delle macchine irroratrici;
- aver cura dell’ambiente dove tali operazioni vengono eseguite;
- utilizzare correttamente le macchine e provvedere costantemente alla loro revisione e manutenzione”.

Questi, infine, alcuni DPI da utilizzare nelle specifiche fasi di lavoro:
- “preparazione distribuzione: tuta, guanti, occhiali, stivali, copricapo, mascherina;
- rientro nelle colture trattate senza rispetto del tempo di rientro: tuta, guanti, stivali, copricapo, mascherina
- rientro nelle colture trattate con rispetto del tempo di rientro: tuta, guanti, stivali”.
In particolare l’operatore agricolo “dovrà indossare i dispositivi di protezione individuali già fin dal momento della preparazione della miscela che è la fase più critica in quanto comporta il contatto diretto con il prodotto fitosanitario allo stato puro o ad alta concentrazione. Questa fase comprende operazioni di pesatura del prodotto, miscelazione con acqua e travaso nel mezzo utilizzato per irrorare. La preparazione della miscela dovrà avvenire all’aperto, in assenza di vento e il più possibile vicino al campo da trattare”.
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I quesiti sul decreto 81: le macchine agricole e il decreto del fare

Quesiti sul differimento al 22 marzo 2015 del il termine per l’entrata in vigore dell'obbligo dell'abilitazione all'uso delle macchine agricole. Le differenze tra macchine agricole e macchine operatrici. Di Rolando Dubini.

L’avvocato Rolando Dubini, nei convegni e seminari in materia di sicurezza e salute in cui è relatore, risponde a molti quesiti posti dal pubblico, spesso formato da consulenti che hanno a che fare quotidianamente con la normativa, con i temi della prevenzione e della gestione del rischio.Uno dei quesiti posti – in un recente seminario AIAS sul Decreto del Fare – riguarda l’art.45 bis del Decreto del Fare, su cui si sofferma oggi PuntoSicuro anche con un secondo articolo di approfondimento. Nell’articolo si indica che il termine per l’entrata in vigore dell'obbligo dell'abilitazione all'uso delle macchine agricole - in attuazione di quanto disposto dall' Accordo 22 febbraio 2012, n. 53 concernente l'individuazione delle attrezzature di lavoro per le quali è richiesta una specifica abilitazione degli operatori, nonché le modalità per il riconoscimento di tale abilitazione, i soggetti formatori, la durata, gli indirizzi e i requisiti minimi di validità della formazione, in attuazione dell'articolo 73, comma 5, del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, e successive modificazioni – è differito al 22 marzo 2015.
I quesiti riguardano la definizione di macchine agricole, la differenza con le macchine operatrici e le conseguenze della proroga presente nel Decreto del Fare-Legge n. 98/2013.
 
Quesito 1: L’accordo Stato Regioni di febbraio 2012 non parla mai di macchine agricole ma alternativamente di trattori agricoli e forestali (allegato VIII) e di lavoratori del settore agricolo (punto 9.4), pertanto a chi e cosa si riferisce l’art.45 bis? Forse alle macchine operatrici immatricolate come agricole?
 
Quesito2: Una volta identificate quali possano essere considerate “macchine agricole” il Decreto del Fare prolunga (fino al 22 marzo 2015) la facoltà di effettuare formazione ed addestramento su suddette macchine senza seguire le indicazioni e i requisiti dell’accordo Stato Regioni e quindi attraverso percorsi quali indicati al punto 9.1 dell’Accordo stesso?

La risposta
Le Macchine Agricole sono chiaramente definite dal codice della strada ( D.Lgs. n. 285/1992), non sono le macchine operatrici, ma le macchine agricole che corrispondono alle seguente definizione

Codice della Strada (D.Lgs. n. 285/1992): Art. 57. Macchine agricole.
 
1. Le macchine agricole sono macchine a ruote o a cingoli destinate ad essere impiegate nelle attività agricole e forestali e possono, in quanto veicoli, circolare su strada per il proprio trasferimento e per il trasporto per conto delle aziende agricole e forestali di prodotti agricoli e sostanze di uso agrario, nonché di addetti alle lavorazioni; possono, altresì, portare attrezzature destinate alla esecuzione di dette attività. È consentito l'uso delle macchine agricole nelle operazioni di manutenzione e tutela del territorio (Periodo aggiunto dal comma 1 dell'art. 2-bis, D.L. 23 ottobre 2008, n. 162).
2. Ai fini della circolazione su strada le macchine agricole si distinguono in:
 
a) Semoventi:
 
1) trattrici agricole: macchine a motore con o senza piano di carico munite di almeno due assi, prevalentemente atte alla trazione, concepite per tirare, spingere, portare prodotti agricoli e sostanze di uso agrario nonché azionare determinati strumenti, eventualmente equipaggiate con attrezzature portate o semiportate da considerare parte integrante della trattrice agricola;
2) macchine agricole operatrici a due o più assi: macchine munite o predisposte per l'applicazione di speciali apparecchiature per l'esecuzione di operazioni agricole;
3) macchine agricole operatrici ad un asse: macchine guidabili da conducente a terra, che possono essere equipaggiate con carrello separabile destinato esclusivamente al trasporto del conducente. La massa complessiva non può superare 0,7 t compreso il conducente (Articolo così modificato dall'art. 25, D.Lgs. 10 settembre 1993, n. 360 (Gazz. Uff. 15 settembre 1993, n. 217, S.O.);
 
b) Trainate
 
1) macchine agricole operatrici: macchine per l'esecuzione di operazioni agricole e per il trasporto di attrezzature e di accessori funzionali per le lavorazioni meccanico-agrarie, trainabili dalle macchine agricole semoventi ad eccezione di quelle di cui alla lettera a), numero 3);
2) rimorchi agricoli: veicoli destinati al carico e trainabili dalle trattrici agricole; possono eventualmente essere muniti di apparecchiature per lavorazioni agricole; qualora la massa complessiva a pieno carico non sia superiore a 1,5 t, sono considerati parte integrante della trattrice traente.
 
3. Ai fini della circolazione su strada, le macchine agricole semoventi a ruote pneumatiche o a sistema equivalente non devono essere atte a superare, su strada orizzontale, la velocità di 40 km/h; le macchine agricole a ruote metalliche, semi pneumatiche o a cingoli metallici, purché muniti di sovrappattini, nonché le macchine agricole operatrici ad un asse con carrello per il conducente non devono essere atte a superare, su strada orizzontale, la velocità di 15 km/h.
 
4. Le macchine agricole di cui alla lettera a), numeri 1) e 2), e di cui alla lettera b), numero 1), possono essere attrezzate con un numero di posti per gli addetti non superiore a tre, compreso quello del conducente; i rimorchi agricoli possono essere adibiti per il trasporto esclusivo degli addetti, purché muniti di idonea attrezzatura non permanente.
 
Le Macchine operatrici sono altra cosa, definita dal successivo articolo 58 del Codice della Strada (D.Lgs. n. 285/1992), e sono cosa diversa, come risulta anche dai documenti di circolazione:
 
Codice della Strada (D.Lgs. n. 285/1992): Art. 58. Macchine operatrici.
 
1. Le macchine operatrici sono macchine semoventi o trainate, a ruote o a cingoli, destinate ad operare su strada o nei cantieri, equipaggiate, eventualmente, con speciali attrezzature. In quanto veicoli possono circolare su strada per il proprio trasferimento e per lo spostamento di cose connesse con il ciclo operativo della macchina stessa o del cantiere, nei limiti e con le modalità stabilite dal regolamento di esecuzione.
 
2. Ai fini della circolazione su strada le macchine operatrici si distinguono in:
 
a) macchine impiegate per la costruzione e la manutenzione di opere civili o delle infrastrutture stradali o per il ripristino del traffico;
 
b) macchine sgombraneve, spartineve o ausiliarie quali spanditrici di sabbia e simili;
 
c) carrelli: veicoli destinati alla movimentazione di cose.
 
3. Le macchine operatrici semoventi, in relazione alle loro caratteristiche, possono essere attrezzate con un numero di posti, per gli addetti, non superiore a tre, compreso quello del conducente.
 
4. Ai fini della circolazione su strada le macchine operatrici non devono essere atte a superare, su strada orizzontale, la velocità di 40 km/h; le macchine operatrici semoventi a ruote non pneumatiche o a cingoli non devono essere atte a superare, su strada orizzontale, la velocità di 15 km/h.
 
 
 
Infine quanto indicato al secondo quesito è esatto, ma solo per le macchine di cui all’articolo 57 del Codice della Strada (D.Lgs. n. 285/1992).
 
 
Rolando Dubini, avvocato in Milano

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15 novembre 2013

FONDI INTERPROFESSIONALI

I fondi interprofessionali finanzia Piani Formativi su misura delle esigenze dei lavoratori e delle imprese,
attraverso un ampio ventaglio di strumenti finanziari studiati ad hoc per ogni contesto aziendale,
interaziendale, di rete.

E’ alimentato dalle rimesse Inps, relative al contributo obbligatorio dello 0,30% sulle retribuzioni
dei dipendenti delle aziende ad esso aderenti (contributo che l'azienda versa comunque, anche in
assenza di adesione ad un Fondo).

DESTINATARI: I fondi interprofessionali sono destinati ad aziende private, anche con 1 dipendente. I migliori  partners sono i consulenti del lavoro.

COME ADERIRE Al FONDO:

1) Scaricare e compilare il modello "Denuncia  Aziendale" del flusso Uniemens Aggregato dell'Inps,  all'interno dell'elemento «FondoInterprof» 

2) selezione del codice REVO (per i dipendenti) e del  codice REDI (per i dirigenti) per la revoca 
dell'adesione ad altri Fondi 

3) selezione del codice FARC e del numero di dipendenti  a tempo determinato ed indeterminato; 

4) selezione del codice FARC e del numero di dirigenti.

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Nasce la categoria del frigorista, tecnico specializzato che utilizza il gas refrigerante fluorurato.

Il Regolamento (CE) n°842/2006 sui gas fluorurati ad effetto serra fissa la procedura per l'ottenimento del Patentino Frigoristi, ovvero l'autorizzazione ad operare sugli impianti di refrigerazione e condizionamento.
Obiettivo del regolamento è ridurre le immissioni in atmosfera dei gas fluorurati attraverso una serie di misure ed azioni da adottare durante il ciclo di vita degli impianti che li contengono.
Il patentino di frigorista è obbligatorio per il personale e le imprese che effettuano operazioni su apparecchiature fisse di refrigerazione, condizionamento d'aria e pompe di calore.
Il patentino di frigorista sarà requisito fondamentale per l'acquisto e il possesso di gas fluorurati e per la compilazione del registro di impianto.

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Addetto alla conduzione di trattori agricoli o forestali (per trattori a cingoli)

Durata: 8 Ore (3 ore modulo teorico, 5 ore modulo pratico)

Tipo: FAD o AULA (modulo teorico) + Aula e area attività (modulo pratico)

Il corso assolve agli obblighi indicati nell’articolo 73, comma 4, del D.Lgs. 81/08 e  nell’ultimo accordo Stato Regioni in materia di formazione per l’utilizzo di  attrezzature di lavoro per le quali è richiesta una specifica abilitazione degli  operatori, in particolare per la conduzione di trattori a cingoli.

Destinatari: Operatori addetti alla conduzione di trattori agricoli o forestali

Requisiti: Nessun requisito minimo

Il percorso formativo si articola in 3 moduli* di cui 2 sono erogati in modalità fad  o aula e 1 di pratica.

Modulo 1 (FAD o aula): Modulo giuridico – normativo (1 ora)

Modulo 2 (FAD o aula): Modulo tecnico (2 ore)

Prova intermedia di verifica

Modulo 3 (Aula e area pratica): Modulo pratico (5 ore)

Prova di verifica finale

L’obiettivo è: fornire agli operatori l’abilitazione per la conduzione di trattori  agricoli o forestali (per trattori a cingoli).

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Addetto alla conduzione di trattori agricoli o forestali (per trattori a ruote)

Durata: 8 Ore (3 ore modulo teorico, 5 ore modulo pratico)

Tipo: FAD o AULA (modulo teorico) + Aula e area attività (modulo pratico)

Il corso assolve agli obblighi indicati nell’articolo 73, comma 4, del D.Lgs. 81/08 e  nell’ultimo accordo Stato Regioni in materia di formazione per l’utilizzo di  attrezzature di lavoro per le quali è richiesta una specifica abilitazione degli  operatori, in particolare per la conduzione di trattori a ruote.

Destinatari: Operatori addetti alla conduzione di trattori agricoli o forestali

Requisiti: Nessun requisito minimo

Il percorso formativo si articola in 3 moduli* di cui 2 sono erogati in modalità fad  o aula e 1 di pratica.

Modulo 1 (FAD o aula): Modulo giuridico – normativo (1 ora)

Modulo 2 (FAD o aula): Modulo tecnico (2 ore)

Prova intermedia di verifica

Modulo 3 (Aula e area pratica): Modulo pratico (5 ore)

Prova di verifica finale

L’obiettivo è: fornire agli operatori l’abilitazione per la conduzione di trattori  agricoli o forestali (per trattori a ruote).
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Addetto alla conduzione di carrelli elevatori semoventi con conducente a bordo (carrelli industriali semoventi)

Durata: 12 Ore (8 ore modulo teorico, 4 ore modulo pratico)
Tipo: FAD o AULA (modulo teorico) + Aula e area attività (modulo pratico)

Il corso assolve agli obblighi indicati nell’articolo 73, comma 4, del D.Lgs. 81/08 e  nell’ultimo accordo Stato Regioni in materia di formazione per l’utilizzo di  attrezzature di lavoro per le quali è richiesta una specifica abilitazione degli  operatori, in particolare per la conduzione di carrelli elevatori semoventi con
conducente a bordo.

Destinatari: Operatori addetti alla conduzione di carrelli elevatori semoventi

Requisiti: Nessun requisito minimo

Il percorso formativo si articola in 3 moduli* di cui 2 sono erogati in modalità fad  o aula e 1 di pratica.

Modulo 1 (FAD o aula): Modulo giuridico – normativo (1 ora)

Modulo 2 (FAD o aula): Modulo tecnico (7 ore)
Prova intermedia di verifica

Modulo 3 (Aula e area pratica): Modulo pratico (4 ore)

Prova di verifica finale

L’obiettivo è: fornire agli operatori l’abilitazione per la conduzione di carrelli  elevatori semoventi.

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Patente a punti per imprese edili. Quali sono i requisiti per ottenerla e le sanzioni in caso di violazioni?

Il D.Lgs. 81/2008 prevede che le imprese e i lavoratori autonomi che partecipano a gare per l’affidamento di appalti pubblici o che intendono accedere a finanziamenti o agevolazioni devono dimostrare il possesso di requisiti in materia di salute e sicurezza sul lavoro.
Il Decreto 106/2009 ha definito la patente a punti quale strumento di verifica dell’idoneità delle imprese e dei lavoratori autonomi ad operare in condizioni che garantiscano la salute e sicurezza nei luoghi di lavoro.
Il Presidente della Repubblica ha emanato lo schema di Regolamento, ora all’esame del Consiglio dei Ministri, per definire le modalità di funzionamento della patente a punti e di attribuzione di un punteggio iniziale per imprese e lavoratori autonomi operanti nei vari settori tra cui quello edile.

Vediamo le caratteristiche principali della patente a punti.

La patente a punti
La patente a punti è uno strumento teso a favorire le aziende che investono in prevenzione e sicurezza; consiste in un punteggio iniziale, inserito in un apposito riquadro del DURC, che attesta l’idoneità a svolgere l’attività edilizia, di cui le Amministrazioni giudicatrici devono tener conto nell’affidamento di lavori o incarichi.

Requisiti per il rilascio
I requisiti per il rilascio sono i seguenti:
  • Iscrizione alla Camera di Commercio e DURC in regola;
  • Nomina di un responsabile tecnico in possesso delle adeguate competenze in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro;
  • possesso delle idonee competenze sulla salute e sicurezza sul lavoro per i lavoratori autonomi;
  • assenza di procedimenti in corso per l’applicazione delle misure di prevenzione né condanne definitive per aver commesso reati quali riciclaggio, insolvenza fraudolenza o usura;
  • possesso di adeguata attrezzatura tecnica e formazione sull’utilizzo;
  • valore minimo dell'attrezzatura tecnica pari a 30.000 euro per le imprese e 15.000 euro per i lavoratori autonomi.

Rilascio della patente a punti
La Sezione Speciale per l’edilizia, istituita presso le Camere di Commercio, verificherà i requisiti e rilascerà la patente a punti, già comprensiva del punteggio iniziale, entro 10 giorni dal ricevimento della domanda o comunicherà il diniego.

Violazioni
Il punteggio iniziale diminuisce nel caso di sanzioni per violazioni in materia di salute e sicurezza sul lavoro. In caso di perdita di tutti i punti scatta la chiusura del cantiere ed il divieto alla partecipazione a gare d’appalto e all’ottenimento di finanziamenti pubblici nei 24 mesi successivi; inoltre non verrà rilasciato il DURC.
I punti decurtati potranno essere reintegrati a seguito della frequenza da parte del datore di lavoro e del responsabile o direttore tecnico ad appositi corsi di formazione.
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Chiarimenti su procedure standardizzate, DVR, formazione addetti, visita medica

La Commissione per gli Interpelli del Ministero del Lavoro (di cui all’art. 12 del Decreto 81/2008) ha reso disponibili sul proprio sito le risposte ad interessanti quesiti in materia di sicurezza e salute sul lavoro.

Limiti di utilizzo delle procedure standardizzate
Il datore di lavoro di un’impresa che occupa fino a 50 lavoratori può adottare le procedure standardizzate solo se l’utilizzo di agenti chimici o biologici espone i lavoratori ad un “rischio basso ed irrilevante per la salute”, in base ai risultati della valutazione dei rischi.

Visita medica preventiva 
Il datore di lavoro che assume lo stesso lavoratore esposto al medesimo rischio non è obbligato a far ripetere la visita medica preventiva o periodica (prevista dall’art.41 del D.Lgs. n.81/08) nel corso di validità della visita o comunque per un periodo inferiore ad un anno.

Formazione addetti emergenza
Gli ingegneri abilitati ai sensi Legge 818/1984 possono svolgere corsi antincendio e rilasciare i relativi attestati di frequenza.

Obbligatorietà del DVR nelle strutture penitenziarie 
Il datore di lavoro in relazione alle strutture e ai servizi penitenziari è obbligato a tenere conto nell’elaborazione del DVR delle particolari esigenze proprie del settore (prevenzione di fughe, sabotaggi, aggressioni). Per la sicurezza relativa alle superfici vetrate è necessario fare riferimento a quanto stabilito dall’allegato IV, punto 13.6 del D.Lgs. n.81/08; in merito alla predisposizione di spogliatoi e armadi per il vestiario a favore del personale della struttura, si deve applicare integralmente l’allegato IV, punto 1.12 del D.Lgs. n.81/08.

Lavoro a domicilio
Il datore di lavoro è tenuto a fornire un’adeguata formazione anche nell’ambito del lavoro a domicilio, nel rispetto dell’Accordo Stato-Regioni del 21 dicembre 2011. Non è tenuto, invece, a fornire la formazione specifica per il primo soccorso e l’antincendio. Infatti, ai sensi dell’art.62 del D.Lgs. n.81/08, il domicilio non è considerato luogo di lavoro.

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14 novembre 2013

SICUREZZA SUL LAVORO > PERIZIE FONOMETRICHE (RUMORE)

Fino al 1991 il legislatore non fissava esplicitamente limiti di rumorosità negli ambienti di lavoro.
Si imponeva genericamente: "Nelle lavorazioni che producono scuotimenti, vibrazioni o rumori dannosi ai lavoratori, devono adottarsi i provvedimenti consigliati dalla tecnica per diminuirne l'intensità" (art. 24 DPR 303/1956).
Nella pratica, tale norma, coordinata con l'art. 2087 C.C., ha permesso l'elaborazione di un'articolata giurisprudenza che in molte occasioni ha rappresentato un fattore deterrente verso la tolleranza per le lavorazioni rumorose.
Nel 1991 però, con il D. Lgs. 15 .8.1991 n. 277 (oggi abrogato), sono state recepite nell'ordinamento italiano, alcune direttive comunitarie tra cui la 86/188/CEE relativa alla protezione dei lavoratori contro i rischi di esposizione al rumore, che hanno modificato la regolazione giuridica.
L'art. 40. del Decreto Legislativo n° 277 del 1991, recepimento della direttiva 86/188/CEE, prescriveva al DATORE DI LAVORO l'obbligo di procedere alla valutazione del rumore presente nella propria azienda allo scopo di rilevare e valutare l'esposizione quotidiana dei lavoratori al rumore ed attuare gli interventi preventivi e protettivi indicati dal decreto stesso.
Le disposizioni del D. Lgs. 277/91 riguardavano tutte le attività alle quali sono addetti i lavoratori subordinati o ad essi equiparati ai sensi dell'art. 3 del DPR 303 del 19/3/1956:
"...per lavoratore subordinato si intende colui che fuori del proprio domicilio presta il proprio lavoro alle dipendenze e sotto la direzione altrui, con o senza retribuzione, anche al solo scopo di apprendere un mestiere, un'arte od una professione. ... sono equiparati ai lavoratori subordinati i soci di società e di enti in genere cooperativi, anche di fatto, che prestino la loro attività per conto delle società o degli enti stessi".
Con il D. Lgs. 195/06 viene abrogato il D. Lgs. 277/91 per la parte relativa al rischio rumore. Con questo decreto vengono introdotti due livelli di azione (inferiore e superiore) ed un valore limite.
I livelli di azione fanno riferimento sia a dei livelli di picco che a delle dosi assorbite durante il periodo di riferimento lavorativo di otto ore. Il superamento o meno di queste soglie fa scattare degli adempimenti diversificati.
Il valore limite è calcolato tenendo conto dell'attenuazione fornita dai DPI indossati. Questa soglia non può essere superata.
Con l'emanazione del D.Lgs. 81/08 viene abrogato il D.Lgs. 195/06. Il nuovo Decreto al Titolo VIII Capo II riprende quanto previsto dal D.Lgs. 195/06, apportando delle variazioni in merito agli adempimenti previsti in caso di superamento dei livelli di azione.

Soggetti Coinvolti e Relativi Obblighi

Datore di Lavoro
Ha l'obbligo di procedere alla valutazione del rumore presente nella propria azienda allo scopo di rilevare e valutare l'esposizione quotidiana dei lavoratori al rumore ed attuare gli interventi preventivi e protettivi indicati dal decreto stesso.

Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione
E' consultato dal Datore di Lavoro e dal Tecnico Qualificato durante la fase di realizzazione della Valutazione dei Rischi da esposizione a Rumore.

Lavoratori o Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza
E'/sono consultato/i dal Datore di Lavoro e dal Tecnico Qualificato durante la fase di realizzazione della Valutazione dei Rischi da esposizione a Rumore.

Medico Competente
Ha il compito di effettuare la sorveglianza sanitaria (indagine audiometria per controllare l'acutezza uditiva) dei lavoratori esposti oltre al valore di azione superiore.

Tecnico Qualificato
Collabora con il Datore di Lavoro e il Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza durante la fase di Valutazione dei Rischi da esposizione a Rumore.

Il Documento di Valutazione dei Rischi da Rumore
La valutazione del rumore va eseguita su tutte le imprese che potenzialmente possono avere lavoratori esposti e deve essere aggiornata ad opportuni intervalli di tempo (mediamente ogni quattro anni) o ogni qualvolta si verifica una modifica nelle lavorazioni, che influisce in modo sostanziale sul rumore emesso.
La valutazione deve essere effettuata da tecnici attraverso la consultazione del RSPP, dei lavoratori e sotto la responsabilità del datore di lavoro. Gli esiti della stessa, nonché i criteri e le modalità di effettuazione, vanno indicati in un rapporto che deve essere tenuto a disposizione dell'organo di vigilanza.
Le misurazioni per la valutazione dell'esposizione a rumore possono essere effettuate sia mediante fonometri convenzionali sia mediante fonometri integratori che forniscono al termine del rilievo il livello energetico medio presente nella posizione in esame.
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Idoneità lavoratore: certificazione del medico competente

Il fatto Un lavoratore, licenziato a seguito di parere di inidoneità fisica espresso dal medico competente, ha adito il giudice del lavoro ottenendo il riconoscimento dell’illegittimità del licenziamento sia in primo che secondo grado, sul presupposto della mancanza del carattere di decisività della valutazione del medico competente e alla luce della successiva valutazione di idoneità effettuata dal Ctu.

Profili giuridiciI giudici della Cassazione hanno ribadito l’orientamento della Corte costituzionale secondo il quale la dichiarazione di inidoneità fisica in esito alle procedure previste dallo Statuto dei lavoratori non ha carattere di definitività, potendo il giudice della controversia pervenire a diverse conclusioni sulla base della consulenza tecnica d'ufficio disposta nel giudizio di merito. Inoltre, nel caso di contrasto tra il contenuto del certificato del medico curante e gli accertamenti compiuti dal medico di controllo, si deve procedere alla loro valutazione comparativa al fine di stabilire quale delle contrastanti motivazioni sia maggiormente attendibile, poiché le norme che prevedono la possibilità di controllo della malattia, nell'affidare la relativa indagine ad organi pubblici per garantirne l'imparzialità, non hanno inteso attribuire agli atti di accertamento compiuti dagli stessi una particolare ed insindacabile efficacia probatoria che escluda il generale potere di controllo del giudice.

[Avv. Ennio Grassini – www.dirittosanitario.net]
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7 novembre 2013

Rischio specifico del committente: l’appaltatore non è responsabile

L’appaltatore non risponde dei rischi specifici del committente per fronteggiare i quali sono necessarie regole e precauzioni che richiedono una specifica competenza tecnica generalmente mancante in chi opera in settori diversi. Commento a cura di G. Porreca. E’ importante tale sentenza della Corte di Cassazione perché individua i limiti delle responsabilità fra il datore di lavoro committente e il datore di lavoro appaltatore nel caso di un infortunio occorso ad un lavoratore dipendente dell’appaltatore ma accaduto nell’area di lavoro del committente. Secondo la suprema Corte, così come del resto è indicato nelle disposizioni di cui al D. Lgs. 9/4/2008 n. 81 e s.m.i., l’appaltatore non risponde per l’infortunio occorso ad un suo dipendente se il rischio che ha portato all’evento infortunistico è un rischio per la eliminazione del quale sarebbe dovuto intervenire il committente stesso. Con la stessa sentenza la Corte di Cassazione ha fornito anche un’utile indicazione per la individuazione di quelli che sono da intendere i rischi specifici. Sono "rischi specifici", ha infatti sostenuto la stessa, solo quelli riguardo ai quali sono necessarie delle regole e precauzioni richiedenti una specifica competenza tecnica settoriale che generalmente è mancante in chi opera in settori diversi come si è verificato nel caso in esame. L’evento infortunistico ed il ricorso in Cassazione Il Tribunale ha condannato il titolare di una società che aveva in appalto i lavori di nettezza urbana e di pulizia dell’area del mercato di un comune per il delitto di lesioni colpose aggravate in danno di un lavoratore dipendente. All’imputato era stato addebitato che, in qualità di datore di lavoro dell’infortunato, aveva consentito che lo stesso lavorasse in prossimità di un cancello in ferro del piazzale del mercato, privo del perno di fermo di fine corsa e, quindi, non in una situazione di sicurezza. Era accaduto che, mentre il lavoratore spostava una delle ante scorrevoli del cancello per effettuare le pulizie, si è avuta la fuoriuscita dal binario della stessa che pertanto lo travolgeva procurandogli gravi lesioni con compromissione della colonna vertebrale. La Corte di Appello ha confermata la sentenza di condanna del Tribunale osservando che l’imputato, quale datore di lavoro, ai sensi dell’art. 374 del D.P.R. 547 del 1955, doveva assicurarsi che l’operaio svolgesse le sue mansioni lavorative in piena sicurezza rendendolo edotto dei rischi specifici della sua attività. Tale obbligo, ha osservato la Corte di Appello, gravava non solo sul committente, titolare delle aree ove si svolgeva l’attività lavorativa, ma anche sull’appaltatore in adempimento dell’obbligo di sicurezza che poteva essere dallo stesso ottemperato in considerazione del fatto che la manomissione del cancello era percepibile "de visu". Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato lamentando l’erronea applicazione della legge ed un vizio di motivazione in relazione alla ritenuta percepibilità dell’imperfezione del cancello essendo emerso in realtà dall’istruttoria svolta che la mancanza del fermo centrale ai piedi del cancello era stata il frutto di una sopravvenuta manomissione del cancello stesso consistente nello schiacciamento di detto fermo di cui lo stesso non poteva avere conoscenza. Ha lamentato altresì un vizio di motivazione in relazione alla ritenuta conoscibilità del difetto del cancello non essendo questo risultato un vizio originario, come attestato dalla assoluzione dei costruttore. L’imputato ha fatto ancora presente che ben poteva fare affidamento sulla diligenza dei responsabili del mercato e delle ditte incaricate della manutenzione dell’azienda del committente le quali avrebbero dovuto controllare il difetto strutturale, ed ha posto inoltre in evidenza che la valutazione del rischio specifico indicato in sentenza gravava sul committente in quanto il difetto di funzionamento di un cancello non poteva considerarsi rischio specifico dell’attività dell’appaltatore del servizio di pulizia e che infine non era provato con certezza che tale circostanza fosse percepibile dall’imputato e che quindi fosse a lui "nota". Le decisioni della Corte di Cassazione La Corte di Cassazione ha ritenuto il ricorso fondato e pur constatando che il delitto per il quale si era proceduto era ormai prescritto ha prosciolto l’imputato con formula piena essendo emersi dagli atti elementi di valutazione che consentivano l’assoluzione perché il fatto non sussiste. In merito alla individuazione della responsabilità dell’imputato la suprema Corte ha fatto osservare che ai sensi dell’art. 4 del D. Lgs. 626 del 1994, vigente all’epoca dei fatti (recepito peraltro nel T.U. 81 del 2008), il datore di lavoro deve garantire il suo dipendente dai rischi di infortuni connessi alla attività da svolgere e, quindi, garantire la sicurezza del luogo di lavoro. All’imputato, ha precisato la Sez. IV, era stata esplicitamente addebitata la violazione dell’art. 374 del D.P.R. 547 del 1955 laddove è previsto che "gli edifici, le opere destinate ad ambienti o posti di lavoro, compresi i servizi accessori, devono essere costruiti e mantenuti in buono stato di stabilità, di conservazione e di efficienza in relazione alle condizioni di uso e alle necessità della sicurezza del lavoro. Gli impianti, le macchine, gli apparecchi, le attrezzature, gli utensili, gli strumenti, compresi gli appartenenti di difesa, devono possedere, in relazione alle necessità della sicurezza del lavoro, i necessari requisiti di resistenza e di idoneità ed essere mantenuti in buono stato di conservazione e di efficienza". La Corte di Cassazione non ha comunque condivise le considerazioni svolte dal giudice di merito ponendo in evidenza che, nel caso oggetto di giudizio, trattandosi di un cancello sito a protezione di un’area comunale, il rispetto di tale disposizione era stato posto a carico in primo luogo dei pubblici amministratori ma che la violazione era stata però addebitata anche all’appaltatore in quanto questi, essendo percepibile il rischio di ribaltamento del cancello con il quale i suoi lavoratori erano venuti a contatto, avrebbe dovuto controllare l’efficienza dello stesso. La Sez. IV ha evidenziato che il cancello in origine non presentava alcun vizio costruttivo, tanto è vero che il suo installatore era stato prosciolto e che pertanto la sua anomalia era stata frutto di una manomissione che non poteva essere datata per cui l’asserita rilevabilità ictu oculi dell’anomalia non ha trovato alcun riscontro nelle argomentazioni svolte nelle sentenze di merito, non essendo stato possibile stabilire l’epoca in cui la manomissione si era verificata. “Il rischio connesso al mal funzionamento del cancello”, ha proseguito la suprema Corte, “non può essere definito quale ‘rischio specifico’ della attività dell’imputato tenuto conto che sono ‘rischi specifici’ solo quelli riguardo ai quali sono dettate precauzioni e regole richiedenti una specifica competenza tecnica settoriale, generalmente mancante in chi opera in settori diversi. Pertanto tale rischio era proprio degli addetti alla manutenzione ed alla custodia del mercato, ma non certo dell’appaltatore del servizi di nettezza urbana”. “Consegue da ciò”, ha così concluso la Sez. IV, “che l’imputato non poteva ritenersi onerato di un quotidiano controllo della funzionalità della barriera, controllo che peraltro, in un’impresa di medie dimensioni, grava sul preposto operante ‘sul campo’ e non sull’imprenditore a cui carico non possono esser posti oneri di prevenzione di rischi non specifici della sua attività, occulti e solo occasionalmente manifestatisi”. Considerata pertanto la mancanza di una negligente condotta omissiva da parte dell’imputato legata eziologicamente all’evento la Corte di Cassazione ha deciso la sua assoluzione perché il fatto non sussiste, con conseguente annullamento senza rinvio della sentenza impugnata. puntosicuro.it
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5 novembre 2013

Sicurezza sul lavoro

Incidenti con autopompe e betonpompe Esempi tratti dall’archivio Infor.mo.: infortuni correlati ad attività di getto di calcestruzzo nell’edilizia e all’utilizzo di autopompe e betonpompe. Le rotture del braccio idraulico, il colpo di frusta, la mancanza di DPI e l’attività di coordinamento. I casi Il primo caso è relativo ad attività in cantiere di completamento della palazzina servizi di un centro polisportivo, in particolare la preparazione del piano di calpestio in calcestruzzo del marciapiedi perimetrale e lavori di finitura della pavimentazione in autobloccanti. Il calcestruzzo viene distribuito mediante il tubo flessibile posto all’estremità del braccio di una betoniera con pompa. Ai comandi della betonpompa si trova il conducente del mezzo che utilizza un radiocomando, mentre un operaio dirige il getto di calcestruzzo trattenendo e spostando il tubo flessibile del braccio ed altri tre operai stendono la gettata con i badili. Il braccio della betonpompa risulta esteso, al termine del getto, per tutta la sua lunghezza (24 metri) ed a sbalzo in orizzontale a circa due metri e mezzo di altezza. Terminato il calcestruzzo, l’operaio addetto al getto, che stava per ordinare l’arresto del pompaggio, viene colpito al capo ed al corpo, in particolare al tronco, dal braccio della betonpompa e cade a terra. Uno degli operai addetto alla stesura del calcestruzzo viene anch’egli investito dal braccio venendo però dallo stesso schiacciato a terra e rimanendovi incastrato sotto a circa metà della sua lunghezza. La caduta del braccio della betonpompa è presumibilmente da ricondurre ad un cedimento strutturale, con rottura della piastra metallica di ancoraggio del castello alla motrice. In ogni caso il datore di lavoro ha lasciato che il lavoratore addetto alla stesura, deceduto, operasse in zona pericolosa, presumibilmente sotto il braccio della betoniera a circa dieci metri dalla stessa. Inoltre nessuno degli operai indossava elmetti di protezione. Nel secondo caso un lavoratore è impegnato, congiuntamente ad altri operai, nella fase di getto del calcestruzzo per la realizzazione dei muri perimetrali di un edificio residenziale. Il lavoratore è addetto alla manovra della proboscide del braccio della autopompa utilizzata per tale lavorazione. La macchina opera senza aver posizionato due dei quattro stabilizzatori in dotazione e con il braccio posizionato nella sua massima estensione lungo l’asse orizzontale. Durante la fase del getto la macchina si ribalta ed il braccio colpisce il lavoratore al torace provocandone l’immediato decesso. L’autopompa era manovrata da un operatore di una ditta sub appaltatrice. Il terzo caso è sempre relativo alla gettata di calcestruzzo. Un lavoratore è intento a manovrare il tubo terminale in gomma del braccio idraulico dell’autopompa. Durante tale operazione avviene la rottura del braccio idraulico con il completo distacco dell’elemento finale: questo colpisce l’operaio alla testa provocandone il decesso. Riguardo alla rottura del braccio idraulico è stata riscontrata la mancanza dei controlli previsti per l’attrezzatura. Anche in questo caso non erano utilizzati dispositivi di protezione individuali. Infine un quarto caso relativo al getto delle fondamenta di una costruzione. Un lavoratore, di nazionalità romena - senza permesso di soggiorno e senza contratto di assunzione - lavorava da due giorni in un cantiere edile. La lavorazione in corso riguarda il riempimento, con un getto di calcestruzzo, dei casseri di fondazione. Il lavoratore si trova all’interno dello scavo per iniziare il riempimento dei casseri, impugnando il tubo flessibile di un’autopompa di mandata del calcestruzzo, in attesa della sua fuoriuscita. Un’oscillazione violenta del tubo flessibile, determinata da un improvviso cedimento di una ostruzione interna che blocca il flusso del calcestruzzo, spinge in avanti l’infortunato facendolo cadere sopra dei ferri di armatura sporgenti dai casseri e non protetti. Alcuni ferri di armatura si conficcavano nel torace dell’infortunato che muore poche ore dopo all’ospedale. “L’anomalia di funzionamento nel flusso del calcestruzzo, causata dall’ostruzione dei tubi interni da parte di materiale cementizio solidificato in precedenti lavorazioni, che si può verificare solamente all’inizio di ogni gettata, determina una oscillazione violenta del tubo flessibile ben nota agli addetti ai lavori come “colpo di frusta”. Essendo un rischio conosciuto, le case costruttrici di autopompe riportano sul libretto di uso e manutenzione le misure di sicurezza da adottare fra le quali il divieto per i lavoratori di sostare presso il terminale del tubo all’inizio del getto. L’infortunio è stato determinato da un’errata organizzazione del lavoro in concomitanza con l’assenza di una di protezione dei ferri di armatura; l’infortunato non era stato formato e l’addetto all’autopompa non avrebbe dovuto avviare la macchina. L’addetto all’autopompa ha riferito di avere avvertito l’infortunato di allontanarsi dal tubo prima di iniziare il lavoro ma che probabilmente, per il rumore o per la scarsa conoscenza della lingua italiana l’infortunato non aveva capito”. La prevenzione Nelle varie puntate di “Imparare dagli errori” abbiamo affrontato diverse tipologie di rischi e misure di prevenzione correlate con il getto di calcestruzzo, con l’uso di pompe, betoniere e autopompe. Rimandiamo dunque i lettori ai precedenti articoli in merito alla prevenzione di incidenti nelle operazioni di pompaggio, anche con riferimento al corretto utilizzo delle attrezzature di lavoro. Molti incidenti sono relativi anche alla mancanza di coordinamento all’interno dei cantieri nella fase di fornitura del calcestruzzo. Riprendiamo dunque quanto contenuto nel documento approvato nella seduta del 19 gennaio 2011 dalla Commissione consultiva permanente sulla salute e sicurezza sul lavoro e dal titolo " Procedura per la fornitura di calcestruzzo in cantiere". Nel momento in cui l’impresa esecutrice richiede una fornitura di calcestruzzo preconfezionato si instaura un rapporto fra le due imprese che è regolato, per quanto riguarda la sicurezza sul lavoro, dai commi 1 e 2 dall’art. 26 del Decreto legislativo 81/2008. Tali commi “prevedono che il datore di lavoro dell’impresa esecutrice informi l’impresa fornitrice dei rischi specifici esistenti nell’ambiente in cui essa è destinata ad operare e sulle misure di prevenzione ed emergenza ivi adottate. Entrambi i datori di lavoro cooperano all’attuazione delle misure di prevenzione e protezione dai rischi sul lavoro incidenti sull’attività lavorativa in oggetto; coordinano gli interventi di protezione e prevenzione dai rischi cui sono esposti i lavoratori, informandosi reciprocamente anche al fine di eliminare rischi dovuti alle interferenze tra i lavori delle diverse imprese coinvolte nell’esecuzione dell’opera complessiva. Il datore di lavoro dell’impresa esecutrice promuove tale coordinamento”. Dunque riguardo alle attività di coordinamento tra imprese esecutrice e fornitrice, “il datore di lavoro dell’impresa fornitrice di calcestruzzo scambia con il cliente tutte le informazioni necessarie affinché l’ingresso dei mezzi deputati alla consegna del calcestruzzo e l’operazione di consegna avvengano in condizioni di sicurezza per i lavoratori di entrambe le imprese”. A tal fine il fornitore di calcestruzzo preconfezionato invia all’impresa esecutrice un documento (presentato in allegato a queste linee guida) che contiene tipologia e caratteristiche tecniche dei mezzi utilizzati, numero di operatori presenti e mansione svolta, rischi connessi alle operazioni di fornitura che verranno eseguite in cantiere. Un secondo allegato al documento riporta le informazioni che “l’impresa esecutrice è obbligata a trasmettere al fornitore di calcestruzzo preconfezionato ai sensi dell’art. 26, comma 1, lettera b) del D. Lgs. 81/08 e s.m.i”. In particolare l’impresa esecutrice “può desumere tali informazioni dai PSC (Piano di Sicurezza e Coordinamento) o PSS (Piano di Sicurezza Sostitutivo), ove presenti, nonché dai POS” redatti ai sensi della normativa vigente. E nel caso di utilizzo di trasportatori terzi per la consegna del calcestruzzo in cantiere “l’impresa fornitrice di calcestruzzo dovrà consegnare agli stessi trasportatori sia il documento inviato all’impresa esecutrice con le informazioni sui rischi legati alla consegna del prodotto in cantiere (allegato 1), sia quello ricevuto dall’impresa esecutrice con le informazioni sul cantiere (allegato 2)”. puntosicuro.it
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