30 marzo 2010

SANZIONE PER ASSENZA DEL CERTIFICATO DI PREVENZIONE INCENDI (CPI)

Sanzione per l'assenza del Certificato di Prevenzione Incendi (CPI).

L’obbligo per le aziende di richiedere il Certificato di Prevenzione Incendi è fissato dall’art. 1, primo comma, della Legge 7/12/1984 n. 818 denominata "Nulla Osta provvisorio per le attività soggette ai controlli di Prevenzione Incendi, modifica degli artt. 2 e 3 della Legge 4/3/82 n. 66 e Norme integrative dell'Ordinamento del Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco" (G.U. n. 338 del 10/2/984).

Tale articolo sancisce infatti che "i titolari delle attività indicate nel Decreto del Ministro dell'Interno 16/2/1982 pubblicato nella G.U. del 9 Aprile 1982 n. 98, sono tenuti a richiedere il Certificato di Prevenzione Incendi secondo le procedure di cui alla Legge 26 Luglio 1965 n. 966 ed al Decreto del Presidente della Repubblica 29 Luglio 1982 n. 577".

Il Decreto del Ministro dell'Interno del 16/02/1982 denominato "Modificazioni del decreto ministeriale 27/09/1965 concernente la determinazione delle attività soggette alle visite di prevenzione incendi" (G. U. n. 98 del 09/4/1982) riporta l'elenco delle attività, dei locali, dei depositi, degli impianti e delle industrie pericolose, i cui progetti sono soggetti all'esame e parere preventivo dei Comandi Provinciali dei Vigili del Fuoco ed il cui esercizio è soggetto a visite di controllo ai fini del rilascio del Certificato di Prevenzione Incendi e per le stesse fissa anche la periodicità delle visite successive.

In particolare l’elenco comprende 97 attività industriali, civili, commerciali, pubbliche e private, nelle quali si producono, si impiegano, si sviluppano e si detengono prodotti infiammabili, incendiabili o esplodenti oppure che, per le dimensioni, ubicazioni o altre ragioni, presentano, in caso di incendio, grave pericolo per la incolumità delle persone ed anche quelle che, pur presentando limitati rischi, sono da considerare pericolose per la conseguenza che eventi, anche di limitata rilevanza, possono avere a causa dell'affollamento delle persone e della loro specifica destinazione.

La penalità per chi, in qualità di titolare di una delle attività di cui al citato D.M. 16/02/1982, ometta di richiedere il rilascio o il rinnovo del Certificato di Prevenzione Incendi era prevista dall'art. 5 della stessa Legge n. 818/1984 ma in merito è da far comunque presente che la Corte Costituzionale, con sentenza n. 282 dell'11/6/1990, pubblicata sulla G.U. n. 25 prima serie speciale del 20/6/1990, ha annullata tale sanzione dichiarando la illegittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 1, 1° comma, e 5, 1° comma, della Legge 7/12/1984 n. 818, motivando la decisione per aver individuato “la Legge i soggetti attivi del reato ed i destinatari dell'obbligo, la cui violazione è sanzionata penalmente, in una fonte di grado inferiore costituita da una atto amministrativo quale è un Decreto Ministeriale ".

La Corte di Cassazione ha già avuto modo in più sentenze di prendere atto che “la norma di cui all’art. 5 della legge n. 818 è stata dichiarata incostituzionale” e di desumere che “il fatto ivi previsto non integra più reato” e la stessa in due altre proprie sentenze della III Sez. risalenti fra il 1999 ed il 2000 ha provveduto a colmare, per quanto riguarda la richiesta del Certificato di Prevenzione Incendi, la lacuna venutasi a creare con la pronuncia della Corte Costituzionale ed ha ripescato quanto disposto dall’art. 36 del D.P.R. n. 547/1955 in merito al controllo dei Vigili del Fuoco per le attività pericolose ed il contenuto della Tabella A allegata al D.P.R. n. 689/1959 che si erano ritenuti ormai abrogati dalla legge n. 818/1984 emanata successivamente.

In altre occasioni in più la stessa Corte di Cassazione ha avuto modo di annullare due sentenze di condanna accettando il ricorso dei titolari ricorrenti nel primo caso di un esercizio commerciale di prodotti per l’edilizia, già condannato per il reato di cui all’art. 36 del D.P.R. n. 547/1955, ed adducendo la motivazione che nelle tabelle allegate al D.P.R. n. 689/1959 non era ricompresa l’attività dallo stesso esercitata (Cass. 18 giugno 2001, Paolillo) e nel secondo caso di un responsabile del servizio di refezione scolastica che argomentava la sua richiesta di annullamento della condanna per le stesse motivazioni (Cass. Sez. III n. 45064 del 24/11/2003).

In occasione di tale ultima sentenza la Corte di Cassazione ha fatto una sorta di riepilogo e di ricostruzione della normativa in argomento sostenendo che “Gli artt. 36 e 37 D.P.R. n. 547/1955 sottopongono al controllo antincendio le “aziende e lavorazioni”, determinate dal D.P.R. n. 689/1959, aventi specifiche caratteristiche. La materia in questione è stata successivamente toccata anche dalla legge n. 818/1984, che, introducendo il nulla-osta provvisorio per le attività soggette ai controlli di prevenzione incendi, ha ampliato la categoria delle stesse, rinviando per l’individuazione di tali “attività” al DM 16 febbraio 1982. Questa disposizione è stata ritenuta illegittima dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 282/1990, per contrasto con l’art. 25, comma 2, Cost.”.

La Corte di Cassazione conclude quindi con affermazioni, che, in carenza di un intervento del legislatore successivo alla sentenza della Corte Costituzionale che ha sancita la incostituzionalità dell'articolo contenente la sanzione per l'assenza del CPI, si possono ritenere al momento una sorta di indirizzo di riferimento per gli operatori di vigilanza. La stessa ha affermato che gli artt. 36 e 37 del D.P.R. n. 547/1955 sono ancora vigenti e “non sono stati toccati dalla successiva legge n. 818/1984 né dalle vicende alla stessa occorse” e che “sono tuttora ‘penalmente’ assoggettate al rilascio del certificato di prevenzione incendi quelle ‘aziende e lavorazioni’ specificatamente indicate nelle tabelle ‘A’ e ‘B’ approvate con D.P.R. n. 689/1959; non lo sono invece, le ‘attività’ individuate con il DM 16 febbraio 1982”.

Interessanti, poi, sono le conclusioni a cui è pervenuta la III Sez. della Corte di Cassazione per quanto riguarda in particolare l’inadempimento di tale obbligo nell'ambito delle scuole escludendo la stessa per tale circostanza la sussistenza del reato in quanto “Mentre il DM 16 febbraio 1982, al punto 85, pone, tra le attività soggette al rilascio del detto certificato ‘scuole di ogni ordine, grado e tipo, collegi, accademie e simili per oltre 100 persone presenti, nulla di simile è previsto dalle tabelle del D.P.R. n. 689/1959, né appare possibile far rientrare il caso in specie in altre categorie in esse contemplate”.

Di recente, comunque, con la sentenza n. 28117 del 23 giugno 2004 la III Sezione Penale della Corte di Cassazione ha fornito sull'argomento un indirizzo in senso opposto. La III Sezione ha preso in esame il caso di un titolare di una azienda agricola che era stato dichiarato colpevole del reato previsto dagli artt. 36 e 37 e 389, lettera h), D.P.R. 547/1955 per avere installato ed utilizzato, senza avere fatto preventiva denuncia al Comando dei Vigili del Fuoco territorialmente competente, un impianto di distribuzione di carburanti per uso privato ed agricolo ed un deposito di olio lubrificante in quantità superiore alla soglia prevista nelle Tabelle B alla voce n. 11,

La III Sezione, a sorpresa, ha accolto il ricorso presentato dall'imputato sostenendo che "il giudice di merito ha fatto riferimento al quantitativo di complessivi kg 500 previsto dal n. 11 della tabella A approvata con D.P.R. n. 689/1959, ma non ha tenuto conto del fatto che l'elenco dei depositi e industrie pericolose soggetti alle visite ed ai controlli di prevenzione incendi è stato modificato ed aggiornato con successivi D.M. 27 settembre 1965 e D.M. 16 ottobre 1982, il quale ultimo, vigente all'epoca del fatto, al n. 15 include in esso solo i depositi di liquidi infiammabili e/o combustibili, per uso industriale, artigianale, agricolo o privato, aventi capacità geometrica complessiva superiore a mc 25.

La Sezione III ha concluso che " i quantitativi di olio combustibile e gasolio rinvenuti all'interno dell'azienda agricola dell'imputato, considerati sia singolarmente, che complessivamente, non raggiungevano la soglia dei mc 25, sicchè il fatto non riveste carattere di illecito penale".

Considerati, in conclusione, gli indirizzi e gli orientamenti contrapposti da parte della stessa Corte di Cassazione appare assolutamente necessario un intervento legislativo di riordino della materia.

Tratto da porreca.it